I terribili omicidi compiuti da Mohamed Merah a Tolosa hanno riproposto la questione dell’integrazione dei giovani musulmani di seconda generazione in Francia. Il tono generale delle reazioni oscilla tra l’allarme per una crescente radicalizzazione e l’avvertimento contro possibili discriminazioni, come se Merah incarnasse una tendenza tipica dei ragazzi di seconda generazione: la radicalizzazione islamica, la chiusura nella propria identità, la rottura con la società francese. Ma in realtà, se si guardano i fatti più da vicino, ci si rende conto che succede esattamente il contrario.
In primo luogo, il profilo di Merah corrisponde a una tendenza di fondo osservata da tempo: i ragazzi che scelgono il terrorismo lo fanno per il fascino dell’azione violenta e non in seguito a un lento processo di radicalizzazione religiosa all’interno della comunità musulmana. Che siano lupi solitari o membri di una piccola banda di amici, che abbiano un’aria normale o che soffrano di evidenti problemi psichiatrici, si tratta comunque di individui isolati, che vivono ai margini sia della società francese sia della comunità musulmana, fissi davanti ai loro computer nel mondo virtuale della storia eroica di Al Qaeda, dove dei giovani smarriti si considerano gli eroi tragici di una comunità immaginaria. Questi giovani non vivono nella società reale, non affascinano più nessuno.
In secondo luogo, la grande emozione dimostrata dall’opinione pubblica dopo i crimini di Merah ha occultato un fatto essenziale. Gli obiettivi primari del killer non erano persone della comunità ebraica ma giovani militari francesi musulmani: due dei quattro militari a cui Merah ha sparato a Tolosa e a Montauban nei giorni precedenti alla strage alla scuola ebraica erano musulmani, gli altri due potevano essere scambiati per soldati di origine musulmana. E questa è una novità. Molto più della Palestina, è stato l’Afghanistan a motivare Merah, che detestava l’esercito francese e in particolare i giovani di seconda generazione provenienti dal suo stesso ambiente sociale.
Ma questi giovani sono molto più numerosi di tutti i Merah e di tutti i jihadisti. L’esercito francese conta ormai dal 10 al 20 per cento di giovani musulmani, sono migliaia se non decine di migliaia. Il divario con il numero dei jihadisti è enorme, eppure è attraverso la loro evoluzione che si vuole leggere l’evoluzione dell’islam in Francia e non attraverso chi ha trovato la sua strada e in un modo o nell’altro procede verso l’integrazione.
I militari musulmani francesi sono fedeli alla repubblica, e molti di loro sono morti combattendo in Afghanistan nell’indifferenza dell’opinione pubblica e dei giornali. Le forze armate hanno saputo adattarsi senza trombe né fanfare alla situazione sociale, e rispettando le fedi religiose hanno conquistato la lealtà e la collaborazione dei giovani di varie religioni. Ovviamente i musulmani si trovano soprattutto tra i soldati semplici e i sottufficiali, mentre gli ufficiali sono reclutati sempre più negli ambienti cattolici e conservatori. Questo contrasto può ricordare quello dell’esercito coloniale, ma l’esercito è sempre stato il riflesso della gerarchia sociale francese.
In Francia, però, la realtà sociale dell’islam sta cambiando. Basta guardare i nomi dei professori di scuola media e di liceo, quelli dei medici negli ospedali, degli avvocati, dei giornalisti locali (non nazionali) o dei membri dei consigli comunali (non dell’assemblea nazionale) per vedere la lenta affermazione di una classe media musulmana che lascia i ghetti per trasferirsi nei centri delle città e manda i figli nelle scuole cattoliche (ci sono pochissime scuole private musulmane in Francia, mentre più di 30mila bambini sono scolarizzati nelle scuole private ebraiche).
Il problema è che si continua a fare dei quartieri difficili il laboratorio dell’evoluzione dell’islam. Ma in realtà i protagonisti del cambiamento e del rinnovamento vivono sempre di meno lì e si spostano in centro o in quartieri più ricchi. Del resto è questa uscita dal ghetto che spiega perché la questione della carne halal e del velo siano diventate sempre più visibili. L’affermazione di una classe media musulmana comporta un legame più articolato tra i fattori religiosi e quelli culturali, come si può vedere nel successo crescente dei ristoranti halal. In altre parole, appaiono nuove forme di religiosità, sempre più individualistiche e distaccate dalle culture originarie.
Senza dubbio le zone di emarginazione non spariranno, tanto più perché sono disertate da chi ne esce. Ma non rappresentano di certo un’avanguardia.
Uccidendo dei militari musulmani francesi, Merah ha forse voluto uccidere il suo doppio e il suo contrario: la via dell’integrazione che oggi si va affermando sempre di più. Per un Merah che si unisce ai talibani quanti musulmani francesi fanno parte delle truppe che li combattono? Merah è morto solo, trattato da malato di mente. Una fine che probabilmente avrebbe significato per lui il fallimento totale del suo gesto, com’è successo all’autore della strage di Oslo, Anders Behring Breivik.
*Traduzione di Andrea De Ritis.
Internazionale, numero 942, 30 marzo 2012*
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it