Francis Atwoli è un uomo ricco. Questo combattivo settantaduenne ha guidato per vent’anni il sindacato Central organization of trade unions, rappresentando con non pochi paradossi più di 2,5 milioni di lavoratori keniani sottopagati. Con la sua supervisione, il movimento dei lavoratori è stato reso innocuo e Atwoli è ricordato più per la richiesta di alzare il salario minimo rivolta ogni anno al governo in occasione della festa dei lavoratori che per l’impegno a migliorare le loro condizioni di vita. Nella pagina a lui dedicata su Wikipedia c’è scritto che domina il paesaggio politico “come un colosso” e che “il suo risultato più grande è stato di farsi intitolare una strada a maggio del 2021”.

A causa di questo “risultato” però, insieme ad altri cittadini benestanti, è finito al centro di una polemica sulla memoria di Nairobi che va avanti fin dalla fondazione della capitale keniana, più di un secolo fa. La decisione della governatrice in carica Anne Kananu di intitolare la strada al suo “amico e fratello” ha fatto indignare molte persone.

I nomi delle vie della città hanno sempre indicato chi ha il potere e chi ne è escluso

Nelle ultime settimane il cartello installato dal governo per indicare Francis Atwoli road (in precedenza Dik Dik road) è stato danneggiato più volte e poi ripristinato nel giro di pochi giorni. Atwoli ha condannato i contestatori e si è vantato su Twitter del fatto che il suo nome sarà “tramandato ai posteri”.

Non è la prima volta che gli abitanti di Nairobi vedono intitolare le loro strade a gente ricca e influente. I nomi delle vie della capitale hanno sempre indicato quali gruppi sono al potere e quali ne sono esclusi. All’inizio le strade della città erano indicate soprattutto da numeri, che a partire dalla metà degli anni venti furono sostituiti con nomi britannici e indiani, i gruppi al vertice della gerarchia razzista creata dai colonizzatori. Le strade avevano i nomi di coloni e ufficiali britannici, uomini d’affari e leader religiosi indiani.

Come osservano Melissa Wanjiru-Mwita e Kosuke Matsubara nel loro saggio sulla storia della toponomastica di Nairobi, nel 1936 “la marginalizzazione degli africani era evidente anche nei nomi delle strade, perché a nessuna strada del centro era stato dato un nome africano”. Nairobi del resto non era fatta per gli africani. Il governo coloniale gli offriva ben poco in termini di alloggi e servizi, anche se rappresentavano il gruppo più numeroso nella città segregata. Wanjiru-Mwita ha notato che “i ‘nativi’ erano considerati abitanti temporanei. Potevano vivere nella città solo se registrati come lavoratori”. Dopo l’indipendenza, nel 1963, l’“africanizzazione” della città diventò una priorità. Le strade di Nairobi sarebbero diventate di nuovo un palcoscenico su cui affermare il dominio. Nel 1972 fu delineata una politica per rinominare le strade. Il nuovo sistema dei nomi non solo indicava la marginalizzazione di bianchi e indiani, ma rifletteva anche la politica etnicizzata del momento e il dominio del gruppo etnico kikuyu, oltre a celebrare la nuova élite africana. Con l’eccezione dei capi di stato, di solito la morte era un requisito essenziale per vedersi intitolata una strada.

In generale le cose vanno lisce quando si rispettano le regole. Per esempio non ci furono grandi polemiche quando nel 2017 Magumo road fu intitolata alla sorella più anziana del presidente Uhuru Kenyatta, Margaret Wambui Kenyatta, sindaca di Nairobi tra il 1970 e il 1976. E questo nonostante il coinvolgimento della sindaca nel traffico di avorio che aveva portato gli elefanti keniani sull’orlo dell’estinzione. Nel 2014 però il primo governatore di Nairobi, Evans Kidero, è stato costretto a rimuovere la targa a lui dedicata dopo essere stato oggetto di accuse simili.

Nonostante le pretese di africanizzazione, il dna di Nairobi continua a essere insofferente verso i poveri e gli africani. Il putiferio scatenato attorno alla strada di Atwoli ha coinciso con un altro caotico tentativo delle autorità cittadine di “decongestionare” la città eliminando i mezzi di trasporto pubblici, noti con il nome di matatu, che molti abitanti usano per spostarsi. Qualche anno fa una simile proposta di vietare ai veicoli privati l’ingresso nel quartiere degli affari in centro, dominio esclusivo dell’élite ricca, è stata accantonata. Proprio come ai tempi in cui governavano i britannici, la maggioranza degli abitanti della città vive ancora in slum con pochi servizi. Anche se la maggior parte delle persone va al lavoro a piedi, le autorità preferiscono costruire strade per i ricchi piuttosto che marciapiedi.

La controversia sul nome delle strade fa parte del tentativo di convertire Nairobi in una città africana. Una città che funziona per la maggioranza dei suoi abitanti e non solo per pochi. Anche se produce esiti perversi, come quando sui nomi delle strade ci finiscono i bracconieri, il tentativo di costringere i padri della città a rispettare le regole ha ancora a che fare con la volontà di arginare l’esercizio arbitrario di un potere che decide chi è dentro e chi è fuori.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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