L’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia a Sarajevo il 28 giugno 1914, poco prima dell’attentato. (Bettmann/Corbis)

Cento anni fa un nazionalista serbo di nome Gavrilo Princip assassinò l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, erede del vasto e decadente impero austroungarico. Nella rapida sequenza di eventi che seguirono l’attentato, tutte le grandi potenze europee si ritrovarono sull’orlo dello scontro armato. A causa di una serie di scelte infelici, i governi europei inasprirono i motivi di contrasto iniziali e rimasero invischiati in una guerra devastante. Il conflitto si rivelò talmente massiccio e diffuso da guadagnarsi nel giro di poco tempo il nome di prima guerra mondiale.

Un secolo dopo dobbiamo ancora comprendere pienamente la portata dei suoi effetti. Anzi, in molte regioni del mondo, specialmente in Medio Oriente, i popoli e gli stati continuano a fare i conti con le sue conseguenze.

Convinta che dietro l’assassinio dell’arciduca ci fosse la Serbia, l’Austria-Ungheria presentò a Belgrado delle richieste che ne avrebbero virtualmente cancellato l’indipendenza. La Russia zarista, che si sentiva obbligata a proteggere gli slavi d’Europa contro le aggressioni austro-tedesche, minacciò di intervenire e poco dopo cominciò a mobilitare il suo esercito.

La mossa di San Pietroburgo provocò l’inevitabile risposta della Germania, che in base ai suoi piani militari attivò immediatamente la sua macchina bellica. La Francia, a sua volta, entrò nel conflitto al fianco dell’alleato russo. Il piano di guerra tedesco prevedeva un attacco in massa verso occidente e attraverso il Belgio per accerchiare Parigi, e la sua attuazione violò la tradizionale neutralità del Belgio innescando la dichiarazione di guerra contro Berlino da parte dell’impero britannico.

La transizione dell’Europa dalla pace alla guerra fu incredibilmente rapida e drammatica. Nel secolo successivo al 1815 c’erano stati alcuni conflitti limitati (le guerre d’unificazione tedesca e italiana, la guerra di Crimea), ma in generale era stato un periodo di pace e prosperità.

Chi fu il vero responsabile di quella tragedia? La colpa va ripartita in ugual misura tra tutte le potenze che entrarono in guerra nel 1914? Si è trattato solo di un orribile, enorme incidente? Di un atto di stupidità collettiva, o di una serie di stupide decisioni che hanno scatenato un vortice inarrestabile? Davvero non è possibile incolpare nessuno? Mentre ci avviciniamo al centesimo anniversario dello scoppio della guerra, i mezzi d’informazione hanno riesumato il “grande dibattito”, interpellando gli storici per far luce sull’accaduto.

Nel 1919 le nazioni vincitrici non avevano alcun dubbio che la responsabilità del conflitto dovesse ricadere sulla Germania e l’Austria-Ungheria, e costrinsero gli sconfitti ad accettare la famosa “clausola di colpevolezza di guerra” (articolo 231) contenuta nel trattato di Versailles. Tra le altre cose, l’articolo giustificava le azioni punitive degli alleati come l’alterazione dei confini, l’appropriazione delle colonie tedesche e l’imposizione di enormi indennizzi.

Naturalmente le nazioni sconfitte protestarono contro quell’univoca attribuzione di colpa, e verso la fine degli anni venti, anche a causa delle opere di alcuni storici revisionisti statunitensi tanto benintenzionati quanto male informati, si diffuse l’idea che la responsabilità fosse di tutti (il capitalismo) o di nessuno (errori e ignoranza collettiva). Le guerre di aggressione della Germania nazista cambiarono nuovamente l’opinione generale sui tedeschi, ma solo per un decennio. A metà degli anni cinquanta, quando la Germania Ovest faceva ormai parte della Nato, aveva già ripreso piede la teoria della “colpa condivisa”.

Oggi si potrebbe pensare che la mastodontica ricerca dello storico tedesco Fritz Fischer sulle aspirazioni di Berlino prima e durante il 1914 (Assalto al potere mondiale. La Germania nella guerra 1914-1918, Einaudi 1961) abbia confutato questa tesi una volta per sempre. Eppure alcuni libri più recenti e ben accolti come The war that ended peace di Margaret MacMillan e I sonnambuli di Christopher Clark (Laterza) ci stanno riportando ancora una volta verso la posizione “neutrale”. A complicare ulteriormente le cose, due intriganti libri appena pubblicati hanno dimostrato che a Vienna (Geoffrey Wawro, A mad catastrophe) e San Pietroburgo (Sean McMeekin, July 1914: countdown to war) i leader politici speravano in una resa dei conti e presero diverse decisioni avventate.

Il piano tedesco. Tuttavia, per il bene della correttezza storica, non possiamo ignorare il fatto che l’impero tedesco ha avuto un ruolo peculiare negli eventi del 1914, un ruolo che conferisce alla Germania una responsabilità maggiore di quella delle altre potenze per lo scoppio della prima guerra mondiale.

La particolarità delle azioni tedesche emerge da due elementi. Il primo riguarda i piani militari preparati da Berlino prima della guerra e la loro attuazione durante i cosiddetti “cannoni di agosto”. Nei burrascosi anni della corsa agli armamenti tutti i vertici militari e navali prepararono i loro piani operativi nell’eventualità di un conflitto. Alcuni di questi progetti erano palesemente stupidi (soprattutto quello dell’Austria-Ungheria), mentre altri, come il piano della Francia di mantenere le truppe appena dietro il confine belga, erano semplicemente limitati. In ogni caso tutti i governi (tranne uno) capirono che mobilitare l’esercito, per quanto rischioso, non significava automaticamente mandare le prime linee in battaglia.

Il piano della Germania era diverso dagli altri, perché prevedeva l’invasione immediata del Belgio nel momento in cui fosse arrivata la notizia della mobilitazione russa. Secondo lo stato maggiore prussiano questo era l’unico modo per sconfiggere la Francia in sei settimane, per poi concentrarsi sul fronte orientale e sul più lento esercito russo. Le esigenze militari prevedevano la violazione della neutralità di uno stato vicino.

*Il fronte occidentale francese, 1918. (Topfoto/Tips Images)

  • Si potrebbe pensare che l’eccezionalità del comportamento della Germania nel 1914 si limiti a questo dettaglio, ma non è così. Da alcuni documenti riservati sappiamo che già alla fine del 1912 i generali tedeschi avevano scelto l’estate del 1914 come momento della resa dei conti con l’alleanza franco-russa. Secondo i militari non si poteva aspettare oltre, perché l’esercito russo era in espansione e presto sarebbe stato troppo forte. Allo stesso tempo gli ammiragli non volevano uno scontro prima del 1914, quando l’allargamento del canale di Kiel per far passare le nuove grandi navi da guerra tedesche sarebbe stato completato.

Il compito del ministero degli esteri era trovare una motivazione plausibile per un attacco, e l’assassinio dell’arciduca d’Austria arrivò come un dono dal cielo. Al diavolo i trattati di neutralità! L’ultimatum imposto al Belgio fu redatto dai generali, non dal ministero degli esteri. A quel punto non restava che mandare il lunatico kaiser Guglielmo in crociera lungo le coste della Norvegia, per evitare che compromettesse la situazione, e scatenare la macchina da guerra non appena la Russia avesse emanato l’ordine di mobilitazione. Le folle esultarono stupidamente un po’ ovunque alla vista dei soldati in marcia, ma non sono state loro a provocare l’escalation. Sono stati gli strateghi militari.

In realtà la Germania aveva anche un secondo piano da attuare in caso di un conflitto su due fronti (il grande stratega Helmuth von Moltke, conosciuto come “Moltke il vecchio”, ci aveva già pensato negli anni ottanta dell’ottocento): restare sulla difensiva a ovest respingendo gli assalti francesi con le mitragliatrici, e nel frattempo decapitare la lenta avanzata russa a est.

Secondo i calcoli degli strateghi, dopo aver logorato per un paio d’anni le armate nemiche Berlino avrebbe gli presentato il conto. In questo modo la Germania non avrebbe violato la neutralità del Belgio e di conseguenza non avrebbe trascinato nel conflitto altre potenze (a partire dall’impero britannico). La guerra del 1914 sarebbe rimasta una semplice guerra europea tra la Serbia, l’Austria-Ungheria, la Russia, la Germania, la Francia e gli stati balcanici decisi a buttarsi nella mischia. Dunque non ci sarebbe stata nessuna guerra mondiale.

Durante il 1913, però, il secondo piano fu definitivamente accantonato (oggi sappiamo che gli strateghi non lo avevano mai apprezzato più di tanto) e la Germania si ritrovò con una sola opzione: anche se la scintilla scatenante del conflitto si fosse verificata a est, l’esercito tedesco avrebbe lanciato un’offensiva verso ovest.

Il peso dell’impero. Il secondo motivo per cui le azioni tedesche nel 1914 furono diverse dalle altre è che provocarono l’intervento britannico nel conflitto. In base ai trattati internazionali del 1830 e del 1839 Londra era infatti obbligata (separatamente e collettivamente) a difendere la neutralità del Belgio, e l’esercito britannico sarebbe dovuto intervenire anche se gli altri firmatari dell’accordo si fossero rifiutati di farlo.

Secondo alcuni articoli pubblicati di recente, Londra avrebbe fatto meglio a restare fuori dal conflitto, lasciando che gli stupidi europei combattessero fino allo stremo (o fino a quando il governo britannico non avesse avuto l’opportunità di intervenire per risolvere la faccenda). In questo modo sarebbero state risparmiate le vite di migliaia di britannici morti sulla Marna, a Ypres e nella battaglia della Somme.

Eppure l’idea secondo cui nel 1914 i britannici avrebbero dovuto restare in disparte è poco realistica, e non tiene conto del difficile scenario politico che si presentò al vacillante governo liberale del primo ministro Herbert Henry Asquith con l’escalation delle ostilità in Europa. Un’altra grande guerra causata dalla morte di un arciduca sembrava una follia dopo i conflitti napoleonici, ma come potevano i britannici restare neutrali mentre l’esercito tedesco marciava sul Belgio (e verso il canale della Manica)? Alcuni ministri liberali radicali si opposero all’intervento, e due di loro si dimisero. Ma all’atto pratico tutto questo non aveva alcuna importanza. Anche se il governo di Asquith fosse caduto, i tory erano pronti a entrare in una coalizione di governo per portare avanti il conflitto. L’impero britannico era in guerra. Una potenza mondiale era in guerra.

Pochi giorni dopo i cavi telegrafici sottomarini che collegavano la Germania al resto del mondo furono tagliati. Le truppe dell’impero cominciarono ad attaccare le colonie tedesche, imitate in estremo oriente dagli alleati giapponesi. Gli squadroni navali tedeschi furono presi di mira, e la flotta commerciale fu sequestrata. Furono imposte pesanti sanzioni economiche globali. Volenti o nolenti, gli uruguaiani che esportavano in Assia, per esempio, furono coinvolti.

Anche se la maggioranza dei soldati combatteva tra la Galizia e la Lorena, non si trattava più di una semplice guerra europea ma della prima guerra mondiale, in cui tutti dovevano schierarsi. Alcuni stati furono presto assorbiti nel conflitto (Italia, Bulgaria, Turchia, Grecia e perfino il Portogallo), e tre anni dopo anche gli Stati Uniti entrarono in guerra. Mentre il conflitto diventava sempre più ampio e i piani degli strateghi si rivelavano clamorosamente ottimistici, presto fu chiaro che la battaglia sarebbe stata lunga e sanguinosa. Su questo le previsioni dei liberali britannici si rivelarono esatte.

Avendone il tempo e lo spazio, ci sarebbe molto altro da aggiungere. Per esempio si potrebbe parlare della debolezza del carattere dello zar, delle inopportune pressioni esercitate dalla Francia sulla Russia o delle ansie imperiali dei britannici. Tuttavia, per spiegare come mai il conflitto sia degenerato tanto rapidamente in una guerra mondiale, è sufficiente esaminare i piani militari preparati a Berlino molto prima del 1914 e vedere come furono messi in pratica. Gli storici non fanno bene il loro mestiere se lasciano che questo punto chiave sia oscurato dalle discussioni sulla folle corsa dell’Europa verso il conflitto in quell’estate fatale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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