Pier Luigi Bersani, il leader della coalizione di sinistra che ha la maggioranza alla camera ma non al senato, non sarà probabilmente il prossimo presidente del consiglio italiano.
Non essendo riuscito a convincere il Movimento 5 stelle a votare la fiducia, indispensabile per la nascita di un esecutivo, e rifiutando qualunque idea di alleanza con la destra di Silvio Berlusconi, Bersani ha rimesso il mandato nelle mani dal capo dello stato, constatando gli “ostacoli degli uni e le condizioni inaccettabili degli altri”.
Beppe Grillo può già mettere una tacca sul calcio del suo fucile: rifiutando ostinatamente la mano tesa è riuscito ad allontanare (ma chissà per quanto?) Bersani, definito un “puttaniere” della politica.
L’iniziativa torna adesso nelle mani di Giorgio Napolitano, che potrebbe ridare l’incarico a Bersani (ipotesi improbabile) o designare un’altra personalità (proveniente dalla società politica, civile o istituzionale) per riuscire là dove il leader del Pd ha fallito: convincere i grillini o formare una maggioranza che includa la destra, il centro e la sinistra nella grande tradizione dell‘“inciucio”, come è stato con i 15 mesi del governo di Mario Monti.
La missione di questo ipotetico governo sarà semplice: riformare la legge elettorale, in gran parte responsabile del blocco istituzionale. E poi (probabilmente in autunno) gli italiani saranno richiamati alle urne.
Questa situazione però avrà delle conseguenze. In primo luogo nel Pd, che durante la campagna elettorale non ha saputo assicurarsi la vittoria pronosticata dai sondaggi. Bersani ha dimostrato di avere pazienza (cercando il sostegno dei grillini) e la schiena dritta (rifiutando l’alleanza con Berlusconi), ma adesso deve rendere conto al suo partito.
Tutti quelli che lo seguivano con la pistola puntata potranno ormai schiacciare il grilletto. Tra questi c’è Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze, battuto in occasione delle primarie del Pd. Ma anche i quadri del partito (Walter Veltroni, Masssimo D’Alema, Rosy Bindi), che Bersani era riuscito a mettere da parte.
Anche nell’M5s ci sono delle divisioni. Il rifiuto dei Cinque stelle di patteggiare con “Gargamella” (il soprannome dato da Grillo a Bersani) non è così unanime come Grillo vorrebbe far credere. Per rendersene conto basta leggere i commenti sul blog dell’ex comico genovese: molti militanti della prima ora non condividono la sua intransigenza, anche se per ora la fronda è limitata.
Molti parlano di “un’occasione storica mancata” per cambiare l’Italia. Grillo denuncia i
troll che avrebbero inquinato il suo blog, e sostiene che un governo non è indispensabile perché il “parlamento è sovrano”.
La crisi italiana non si ferma. La situazione istituzionale incerta va di pari passo con quella economica, mentre il governo Monti perde a poco a poco la sua credibilità. Dopo che l’agenzia di rating Fitch ha declassato quattro banche italiane, Moody’s – che aspettava la fine delle consultazioni di Bersani – potrebbe fare lo stesso. Intanto il paese, caso unico in Europa, è in recessione da sei trimestri consecutivi.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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