Il risultato è rugbystico, anche se questo non è lo sport più praticato nel paese. Lunedì 10 giugno il Partito democratico e i suoi alleati hanno vinto i 16 scrutini più importanti delle elezioni amministrative. Tutti i capoluoghi di provincia che dovevano essere rinnovati sono passati a sinistra. Il simbolo di questo trionfo, ottenuto in un contesto di forte astensione (un tasso di partecipazione del 48 per cento), è la netta vittoria ottenuta a Roma da Ignazio Marino nei confronti del sindaco uscente Gianni Alemanno (hanno ottenuto rispettivamente il 64 e il 36 per cento).
Alemanno paga un mandato caratterizzato da una serie di scandali e da molto immobilismo. Ex militante del Movimento sociale italiano (ex fascisti), passato alla destra tradizionale, Alemanno ha permesso a molti di approfittare della generosità del Campidoglio nominando a capo delle società municipalizzate (acqua, trasporti e così via) degli amici che a loro volta hanno assunto i loro amici.
Pazienti e peraltro abituati alle malversazioni politiche di ogni tipo, i romani si sono a poco a poco allontanati da Alemanno. Alla vigilia del primo turno, due settimane fa, il comizio elettorale al quale partecipava anche Silvio Berlusconi aveva radunato solo duemila persone ai piedi del Colosseo. “È colpa del derby tra Roma e Lazio”, aveva spiegato il sindaco, poco propenso a mettersi in discussione.
Ignazio Marino invece si è impegnato ad apparire come l’esatto contrario del suo avversario. Chirurgo specializzato nel trapianto di organi e tornato in Italia dopo aver passato gran parte della sua carriera negli Stati Uniti, ha incentrato la sua campagna sugli argomenti di preoccupazione quotidiana come l’accesso alle cure mediche, i trasporti, la casa. Ha fatto la sua campagna per lo più in bicicletta e con lo zaino sulle spalle. Favorevole all’aborto e a una legge sull’eutanasia, si è attirato la diffidenza della gerarchia ecclesiastica, molto potente a Roma. Questo svantaggio è stato però compensato da un po’ di furbizia politica.
Eletto senatore tre mesi fa nelle elezioni di febbraio, si è dimesso dal suo mandato al momento della sua designazione come candidato alla poltrona di sindaco di Roma. In questo modo non ha potuto votare la fiducia al governo di coalizione di Enrico Letta, che rimane una scelta molto difficile da accettare per gran parte dei militanti di sinistra. Marino ha fatto sapere che non avrebbe votato a favore. Questa collocazione poco ortodossa e la sua reputazione di persona impegnata nella società civile gli hanno permesso di vincere.
Il successo del Partito democratico - che conserva Siena nonostante gli scandali del Monte dei Paschi e vince in un feudo del Popolo della libertà come Brescia e in una roccaforte della Lega nord come Treviso - sottolinea il paradosso della sinistra italiana: popolare a livello locale ma incapace di vincere a livello nazionale, radicata nel territorio ma divisa sulla linea politica e sul leader che dovrebbe rappresentarla. Sconfitta tre mesi fa, in crisi dopo essere stata incapace di eleggere il suo candidato alla presidenza della repubblica e le dimissioni del suo segretario Pier Luigi Bersani, oggi trionfa. E se fosse solo un problema di candidato?
Traduzione di Andrea De Ritis.
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