Per Silvio Berlusconi si avvicina il momento della resa dei conti. Il 30 luglio, nel torpore dell’estate romana, la corte di cassazione esaminerà il ricorso di Silvio Berlusconi contro la condanna in appello a quattro anni di carcere (di cui tre già amnistiati) e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale.

A preoccupare Berlusconi è chiaramente la seconda parte della condanna. A 76 anni è poco probabile che il Cavaliere finisca davvero in prigione, ma allo stesso tempo, per un uomo anziano, cinque anni senza poter ricoprire un ruolo politico sono un’eternità. Se la condanna sarà confermata metterà fine a 19 anni di presenza ininterrotta in parlamento e infrangerà il sogno di un ritorno al potere in caso di caduta del governo di coalizione guidato da Enrico Letta. Tra l’altro Berlusconi è stato anche condannato in primo grado a sette anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici nel processo Rubygate.

Per gli avvocati dell’ex premier l’appuntamento di luglio è un duro colpo, perché avevano scommesso (come la stampa italiana) su un rinvio dell’udienza a ottobre o novembre, nella speranza che una parte dei reati contestati cadesse in prescrizione. Lo specialista di ricorsi in cassazione Franco Coppi si è detto “sorpreso e amareggiato”. “Non ho mai visto un’udienza fissata così rapidamente. In questo modo si limitano i diritti della difesa”. È evidente che la corte di cassazione ha voluto rispondere a chi temeva una prescrizione intermedia.

Per Berlusconi un’eventuale condanna sancirebbe la vittoria della magistratura “comunista” e/o “femminista” (dipende dalle giornate). Nonostante una trentina di processi a suo carico, il Cavaliere non è mai stato oggetto di una condanna definitiva, grazie alle manovre dei suoi avvocati per sfruttare la depenalizzazione o la prescrizione dei reati. Berlusconi dovrebbe in ogni caso mantenere il controllo del suo partito, ma la sua “uscita” dal parlamento sarebbe la sua fine.

Sarebbe la fine di un’epoca in cui un uomo è riuscito a spingere il dibattito politico verso le proprie vicissitudini giudiziarie, alimentando un’isteria nazionale e impedendo ogni analisi del suo operato politico. Fatte le debite proporzioni, è una situazione che la destra francese sta per scoprire con il “ritorno” di Nicolas Sarkozy.

L’ex presidente del consiglio è stato condannato per aver artificialmente gonfiato il prezzo dei diritti di diffusione di alcuni film (acquistati attraverso società di facciata) al momento della rivendita al suo impero audiovisivo Mediaset, controllato attraverso la holding di famiglia Fininvest. Il gruppo avrebbe inoltre aperto conti neri all’estero e ridotto i suoi introiti in Italia per pagare meno tasse.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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