Ventotto anni compiuti il 6 luglio, laureato in legge a Napoli, faccia pulita, capelli corti, abito grigio e cravatta ben stretta. Luigi Di Maio, deputato del Movimento 5 stelle e vicepresidente della camera, è diventato nel giro di poche settimane una figura di spicco del suo partito. L’uomo della sinistra radicale e degli incontri con Matteo Renzi sulle riforme adesso è il volto istituzionale e presentabile di un partito che in passato ci aveva abituato ad atteggiamenti aggressivi, intransigenti e spesso anche infantili.
Abile oratore (quasi impossibile levargli la parola nei dibattiti televisivi a cui partecipa spesso) e astuto come un avvocato di Berlusconi, Di Maio ha oscurato gli altri militanti del partito, compreso il fondatore Beppe Grillo. L’ex comico – arrivato alla soglia dei 66 anni e sostenitore di una linea intransigente che non ha conquistato gli elettori – ha preso atto che Renzi ha saldamente in mano il paese, e ormai si domanda se valga davvero la pena continuare a sudare sette camice nei raduni di partito per difendere la purezza ideologica del movimento e garantirgli la massima visibilità.
Da un lato 66 anni, dall’altro 28: il futuro è dalla parte di Di Maio, se non altro da un punto di vista anagrafico. Dopo che le urne hanno sancito la sconfitta della linea di opposizione radicale dell’M5s, il giovane deputato ha fatto i suoi conti e si è accorto che i suoi colleghi, eletti insieme a lui nella sorpresa generale nel febbraio del 2013, non sono tutti al suo livello. Inizialmente ha mantenuto un profilo basso, sgobbando sul regolamento dell’assemblea e seguendo un corso di comunicazione, poi è arrivato alla ribalta, preparato e sicuro di sé.
Da comparsa a primo attore. Con grande prudenza, Di Maio ha evitato ogni critica alla “linea isolazionista” dei cinque stelle dettata da Grillo e da Gianroberto Casaleggio, almeno fino alle elezioni europee di maggio. I due leader, alla ricerca di un esponente del partito in grado di compattare la banda eterogenea dei “grillini”, hanno chiesto a lui di rappresentarli a Roma: Grillo detesta l’aereo, mentre Casaleggio preferisce restare a Milano a curare i suoi affari. “Capo, che dobbiamo fare?”, domandavano i deputati del movimento. “Vedetevela con Di Maio”, rispondevano Grillo e Casaleggio, affidando al deputato l’incarico di capogruppo permanente anche se ufficialmente la carica è sottoposta a una rotazione trimestrale. Relegato inizialmente al ruolo di “controfigura”, Di Maio si è abituato alla ribalta incarnando una sorta di versione contemporanea, politica e maschile di È nata una stella, il film di George Cukor del 1954.
Gli elogi di avversari del calibro di Renzi e Berlusconi, che si è chiesto come mai il suo partito non abbia scovato un talento simile, hanno alimentato l’ambizione di Di Maio. “Grillo e Casaleggio avranno sempre meno spazio, conteranno di meno”, ha scritto il deputato sulla sua pagina Facebook. Un’imprudenza? Un pio desiderio manifestato in modo troppo crudo?
Di Maio ha ricevuto attacchi da alcuni parlamentari decisi a difendere la loro indipendenza, compreso quello di un responsabile nominato dai leader del partito. “Nel Movimento 5 stelle uno vale uno”, gli hanno ricordato alcuni militanti fedeli alla purezza delle origini. C’è perfino chi ha chiesto la convocazione di un “congresso”, parola sconosciuta nel regolamento dell’M5s, che per il momento resta proprietà esclusiva della Grillo&Casaleggio spa.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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