Anche Matteo Renzi sta scoprendo le leggi inesorabili della politica. Otto mesi dopo la nomina a capo del governo, la sua popolarità che faceva sbavare d’invidia i suoi colleghi europei comincia a mostrare la corda, come dimostrano due sondaggi apparsi il 16 novembre.
Nel primo (Demos per la Repubblica) i giudizi positivi sul governo scendono dal 56 per cento di ottobre al 43 per cento di novembre, mentre la sua popolarità personale passa dal 62 al 52 per cento. Nel secondo (Ipsos per il Corriere della Sera) le intenzioni di voto in favore del Partito democratico (Pd), di cui Renzi è segretario, scendono del 2,5 per cento rispetto alle elezioni europee di maggio (41 per cento).
Non si può certo parlare di minaccia grave. Per l’istituto Demos Renzi supera tutti gli altri leader politici italiani di almeno 20 punti: il leader della Lega nord Matteo Salvini ottiene il 30 per cento di giudizi favorevoli, il capo del Nuovo centrodestra Angelino Alfano il 22 per cento, Silvio Berlusconi il 20 e Beppe Grillo il 18.
Secondo Demos il presidente del consiglio perde consensi tra gli operai (dal 46 per cento dello scorso ottobre al 34 per cento di novembre), tra i lavoratori dipendenti e i funzionari (dal 57 al 43 per cento ), tra i liberi professionisti (dal 52 al 46 per cento), tra i lavoratori autonomi e gli imprenditori (dal 64 al 42 per cento ), tra i disoccupati (dal 42 al 27 per cento) e tra i pensionati (dal 67 al 56 per cento). Insomma, un po’ ovunque. Per Ipsos invece Renzi riscuote ancora favore tra i piccoli imprenditori e i liberi professionisti, mentre ne perde tra gli studenti, i funzionari e i giovani. “La riforma del mercato del lavoro e la crisi economica sembrano alla base di questi cambiamenti”, scrive Nando Pagnoncelli (Ipsos) sul Corriere della Sera.
Il problema è che se da un lato può dire che il cosiddetto Jobs act deve essere votato in senato prima di portare i suoi frutti, dall’altro Renzi non può negare la realtà della crisi economica. L’Italia infatti è entrata nel tredicesimo trimestre di recessione e in termini di crescita condivide con Cipro la crescita economica più bassa della zona euro.
In compenso le cose sembrano andare per il meglio all’altro Matteo, Salvini. Nei sondaggi la Lega nord sfiora ormai il 10 per cento, dopo aver ottenuto solo il 4 per cento alle elezioni politiche del febbraio 2013. È l’unico partito politico in crescita nei sondaggi.
Dopo aver abbandonato una parte della sua identità storica leghista (secessionismo, camicie verdi e canzoni alpine) per trasformarsi in un partito capace di ottenere voti in tutto il paese, sull’esempio del Front national francese con il quale la Lega è alleata al parlamento europeo, Salvini adesso comincia a raccogliere i frutti del suo lavoro.
Sempre meno verde e sempre più nero, sempre meno settentrionale e sempre più nazionale, sempre meno “né destra né sinistra” e sempre più di estrema destra, Salvini fa di tutte le erbe un fascio per sfruttare le tensioni della società. La settimana scorsa era a Bologna per “visitare” un campo rom, dal quale è dovuto fuggire dopo che la sua Volvo era stata presa a sassate. Questo fine settimana ha inviato Mario Borghezio, principale sostenitore dell’avvicinamento tra Lega e Front national, nel quartiere periferico romano di Tor Sapienza, dove gli abitanti hanno aggredito i residenti di un centro per rifugiati.
Salvini, 41 anni, eurodeputato con una barba da pastore, è diventato famoso quando ha preso posizione in favore dell’apartheid tra milanesi e stranieri nei vagoni della metro. Borghezio, 65 anni, anche lui parlamentare europeo, crede negli ufo e non sopporta la vista dei minareti. Ormai Salvini sogna di conquistare da solo il 50 per cento dei voti degli italiani. La soglia sembra un po’ ottimistica, se non utopica. C’è chi ne ride e chi no.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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