Ci sono due modi per leggere la decisione presa venerdì 5 dicembre dall’agenzia Standard & Poor’s di ridurre il rating del debito italiano a BBB-, cioè al livello più basso della categoria “investimenti”, riservata agli investitori considerati come affidabili.
La prima è economico-finanziaria. Come spiega l’agenzia statunitense, il declassamento “riflette la ricorrente debolezza nelle performance del prodotto interno lordo reale e nominale (del paese), […] che minano la sostenibilità del debito pubblico”. S&P ritiene che quest’ultimo dovrebbe raggiungere i 2.256 miliardi di euro a fine 2017, con un aumento di 80 miliardi rispetto all’ultima stima di giugno. Questo aumento, “accompagnato da una crescita perennemente debole e da una bassa competitività”, non permettono più di mantenere il rating “BBB”.
La seconda è politica. Anche se l’Italia non rischia di cadere nella “categoria speculativa” nel breve o medio periodo, poiché la sua prospettiva rimane “stabile”, l’agenzia dubita che Matteo Renzi possa riformare l’Italia rapidamente come promesso. Votata mercoledì 3 dicembre, la legge che autorizza il governo a riformare il mercato del lavoro aspetta i decreti attuativi. S&P definisce questa riforma un “progresso”, ma teme che si insabbi nei meandri del parlamento e delle trattative, mentre in ottobre la disoccupazione ha raggiunto il livello record del 13,2 per cento (con il 44,4 per cento tra i giovani) e due organizzazioni sindacali hanno indetto uno sciopero generale per il 12 dicembre. In altre parole l’agenzia, sull’esempio di altre istituzioni, si chiede se l’attuale presidente del consiglio, nonostante i suoi bei discorsi, saprà far meglio dei suoi predecessori.
A quanto pare il governo vuole vedere solo gli aspetti positivi e sottolinea il giudizio favorevole sul Jobs act. Renzi, che dopo nove mesi di governo non può più addossare la responsabilità ai suoi predecessori, si dice pronto ad avanzare a passo di carica per pubblicare i decreti attuativi della riforma. Ma il tempo stringe: a marzo la Commissione europea valuterà eventuali sanzioni contro l’Italia, che è di nuovo in recessione e ha finanziato un terzo del bilancio con nuovo deficit.
Le cattive notizie non arrivano mai da sole. Anche Angela Merkel ha commentato i dubbi degli ambienti finanziari e delle istituzioni europee sull’Italia (e sulla Francia). “Condivido la posizione della Commissione, che ha detto chiaramente che le proposte non sono ancora sufficienti”, ha affermato la cancelliera, che solo pochi mesi fa si era detta “colpita” dalla personalità di Renzi. “L’Italia è considerata un paese che si limita a fare degli annunci. Non sono d’accordo, ci sono anche grandi progetti sulle riforme strutturali”, ripete con insistenza il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. Le sue parole però non suonano troppo convincenti, né in Italia né all’estero.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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