1. Mark Lanegan & Duke Garwood, Sphinx
È un vulcano attivo da trent’anni l’ex cantante degli Screaming Trees che fa vibrare midolli spinali col suo vocione beltenebroso, attraversando progetti mai troppo allegri e quasi sempre di fascino. Aspettando l’eruzione con un compagno di viaggio inglese polistrumentista vagabondo, percorre una fetta di americana sul vagone merci di Black pudding, colonna sonora per la depressione diffusa (un giorno la chiameremo così: meno spettacolare ma più profonda della grande). Fagioli e cotiche e blues sul binario della ruggine.
2. The Cyborgs, Hi ha doobie do ha
Si presentano Daft Steampunk, con maschere da saldatori e veterogrisaglie, due robot galeotti fuggiti da una Rebibbia reinventata da Tim Burton. Ruggine e ossa si rianimano in presenza di adeguata amplificazione; il nuovo album Electric chair (sì, l’elettrocuzione è per loro simbolo di vita) li mostra in tutto il loro voltaggio vintage rock boogie blues e anche un po’ ragtime; due dynamo con una pronuncia inglese for beginners ma un’expertise Black Keys nel trasformare in bella energia quel che in altre mani sarebbe mero lavorìo di seghe elettriche.
3. Ceramic Dog, Masters of the internet
“Scaricate musica a gratis / ci piace quando lo fate / non abbiamo case né famiglie da sfamare / non siamo umani come voi”. Alzata d’ingegno di un altro chitarrista vagabondo, il quasi sessantenne Ribot, uno che reinventò il sound di Tom Waits e migliorò quello di Vinicio Capossela. Da Your turn, nuovo album del suo trio Ceramic Dog, tra rockacci in punta di plettro e dolore elettrificato, un arabeggiante atto di sottomissione alle masse fameliche di suoni scroccati dai tubi, torrent e ciberspazio tutto. Orgogliosa, asserragliata dichiarazione di stenti.
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