1. Breno Sauer Quarteto, Take it easy my brother Charlie

In un universo parallelo carioca anni sessantasettanta, tutti a ciondolare in sandali e shorts una lunga lenta bossa naturale da Ipanema. Grazie al jazzman barese Nicola Conte, in apnea nei fondali della produzione brasileira vintage per riportare alla superficie tanti piccoli Mas que nada (lo ha già fatto tante volte, atletico mineiro in una miniera inesauribile) e confezionare la nuova compilation Viagem 5. E sì, vou te contar, è la cosa giusta per schiaffare la città nel retrovisore e levare leggeri le ancore verso scenari in technicolor.

2. Glasvegas, If

Due cugini di Glasgow si rimettono in pista con un singolo che puzza di rock trionfale, antipasto di un nuovo album (Later… when tv turns to static), con quella convinzione da fondamentalisti del wall of sound, nel dna la speranza di vita di migliaia di display accesi in una notte d’estate in uno spazio aperto ai margini di una grande città. Anche la voce del cantante James Allan che s’incrina alla Bono giovane, come se la sua gola fosse un pozzo petrolifero di speme. E pure l’ardire di ribaltare i Talking Heads parafrasando: We’re on a road to somewhere.

3. Giacomo Sferlazzo, Quando sono assente mi manco

Un barbuto con il polso fermo sulla rete di relitti e festival e spiagge e disgrazie che si pescano a Lampedusa. Con l’associazione culturale Askavusa conserva pezzi di memoria dei naufraghi nel museo delle migrazioni; e poi canta di sé senza cascare nel folklore delle cronache. Fa cose oblique, non si lascia ballare né fischiettare addosso; non parla in dialetto e non scaccia i pensieri. Anzi è di Anzio, canta cupo e ne ha ben donde. Auguri, forse in vacanza è più facile incontrare un tizio così, e in assenza di ciò lo si può sempre ascoltare.

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