1. Pippo Pollina, Helvetia

Da dove sbuca uno che canta di cose che “albergano nei tuoi pensieri”, di vanagloria, di canditi da dieci lire? E quel titolo da polizza che c’entra con tutto? L’album è L’appartenenza e lui un Pippo siculo da un universo parallelo in cui tutto è più garbato, che non dimentica fatti di cronaca e senza masticare amaro ne trae canzoni autoriali gradite agli svizzeritedeschi. E poi l’ottima Etta Scollo per farle dire “ti vogghiu beni”, con la chitarra-dolciume e l’oboe-schiarita, all’ombra del cugino meno illustre di De Andrade nel fiorire di melograni e fiordalisi.

2. Non voglio che Clara, Il complotto

Il Bukowski e il Battisti e il libro e il letto. Pop da cameretta bellunese, inquadratura stretta da film a basso budget, Macchine che scandiscono ritmi contemplativi da balera del liscio. I titoli dell’album L’amore finché dura si susseguono come slide di enigmi familiari: Le mogli, Le anitre, Gli acrobati, La sera. Par di vedere La Repubblica con i suoi tasselli determinativi: Il caso, La sentenza, Le intercettazioni; ma più sfumato e malinconico. Un quotidiano di riflessioni, cronache di vita enunciata, frammenti di tempo e desiderio impaginati con ordine.

3. Nobraino, Esca viva

Squali cannibali, cani sodomiti, umani poliamorosi; bande che si sentono spiritose. Questi son come indecisi se essere più Blur o più Banda Osiris. L’album s’intitola L’ultimo dei Nobraino, una delle canzoni Jacques Pérvert, un’altra Il bigamionista, sono marcette e storie quasi tese con qualche guizzo di stile e qualche scarto da blob tendenza Dandini. Ma vengon da Rimini, son buena gente, intrattengono, suonano, funziano (visti in tivù!), flirtano col memorabile però poi van via senza sfondare la barriera sonora degli arrivati, né il muro di “bellino”.

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