Otis è un giovane attore con qualche problema di alcolismo. Dopo un incidente stradale, le autorità lo spediscono in un centro di riabilitazione: o quello o la galera. La psicoterapia che è costretto a seguire ci riporta indietro di una decina d’anni, quando Otis, bambino prodigio di Hollywood, si divideva tra il set e uno squallido motel dove stava con il padre James, personaggio difficile, inaffidabile, violento (almeno nei modi). Lungo questo doppio binario Otis cerca in qualche modo la pace: la sua, quella di suo padre, quella tra loro. Ci auguriamo tutti che sia riuscito a trovarla.

Anche perché in effetti Honey boy, di Alma Har’el, è scritto e interpretato da Shia LaBeouf ed è basato sulla biografia dell’attore. Di più, nasce come parte della terapia riabilitativa imposta a LaBeouf dopo un arresto nel 2017. Il film, molto americano, è interessante, realizzato con un certo equilibrio, senza ricorrere eccessivamente agli “effetti speciali” della violenza e dell’angoscia. LaBeouf sembra convincente nel personaggio ispirato a suo padre, anche se nessuno meglio di lui può giudicare. E certo, per la natura e la genesi del film, più che il parere dei critici cinematografici, sarebbe interessante conoscere quello di psicoanalisti e psicoterapisti.

Honey boy
Di Alma Har’el. Con Shia LaBeouf, Lucas Hedges, Laura San Giacomo. Stati Uniti 2019, 94’. A noleggio.

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