Ogni settimana il giornalista francese Pierre Haski racconta un paese di cui non si è parlato sui mezzi d’informazione.
Ulan Bator, aprile 2012. (David Gray, Reuters/Contrasto)
Secondo le Nazioni Unite Ulan Bator, la capitale mongola che conta ormai più di un milione di abitanti (più di un terzo della popolazione del paese) è la seconda città più inquinata del mondo. La ragione principale è il carbone, che permette agli abitanti di “Ger city”, la città delle iurte che sorge intorno alla città moderna e sempre più splendente, di riscaldarsi durante il lungo e rigido inverno (le temperature possono scendere fino a 40 gradi sotto zero). L’impatto sull’ambiente e sulla salute degli abitanti è disastroso.
Ulan Bator è una capitale paradossale. Per decenni è stata una città dalla tipica architettura sovietica, riscaldata da enormi condutture di acqua bollente che portavano il calore negli appartamenti delle case popolari. Oggi la città è divisa tra una rapida modernizzazione e un’altrettanto rapida espansione delle bidonville.
La scomparsa dell’Unione Sovietica nel 1991 ha avuto un impatto considerevole su questo paese gigantesco ma scarsamente popolato (meno di tre milioni di abitanti) e schiacciato tra due imperi rivali, la Russia e la Cina.
Così i nomadi, che erano diventati funzionari statali durante l’era sovietica, sono tornati alla vita tradizionale dopo un’interruzione durata diversi decenni. Ma come mi ha spiegato un vecchio mongolo mentre seguivo una campagna elettorale nel deserto del Gobi qualche anno fa, le nuove generazioni fanno fatica a riprendere la vita nomade, soprattutto durante gli inverni più rigidi, che qui sono chiamati dzud.
Questo vecchio mongolo, che parlava sniffando un flacone di profumo nella sua yurta, spiegava l’aumento permanente delle bidonville intorno alla capitale con la disgregazione dei clan nomadi, rovinati dalla perdita del bestiame.
E questo prima dello dzud del 2010, il più freddo inverno degli ultimi 40 anni, con temperature che hanno raggiunto i 51 gradi sotto zero. Milioni di capi di bestiame sono morti di freddo, spingendo verso la città le famiglie nomadi ormai nullatenenti.
Il riscaldamento ereditato dal sistema comunista è fatto di grosse condutture di acqua calda che attraversano la città moderna. Negli immensi quartieri improvvisati di iurte e di capanne sulle colline intorno alla capitale invece il carbone regna incontrastato e diffonde lo smog che riempie l’aria di Ulan Bator e avvelena i polmoni.
Vodka e ustioni. Anche le condutture di acqua calda producono danni collaterali. Infatti durante l’interminabile inverno, quando la vodka più o meno adulterata fa sfaceli, all’alba si ritrovano regolarmente degli alcolizzati che vanno a cercare un po’ di caldo vicino alle condutture bollenti, e che si sono addormentati sul metallo. Al risveglio presentano ustioni di primo e di secondo grado e sono ricoverati in ospedale.
A Ulan Bator esiste un’istituzione molto particolare, l’Ospedale della carità, l’unica istituzione medica gratuita di tutta la Mongolia dove di solito si ritrovano i poveri ustionati dai tubi. Questo ospedale è gestito da suore dell’ordine di Notre Dame, una congregazione tradizionalista in disaccordo con il Vaticano.
La madre superiora mostra a tutti i visitatori le foto delle vittime delle condutture di riscaldamento. Le foto sono terribili e si fatica a credere che si tratti semplicemente di alcolizzati che cercavano un po’ di calore. La religiosa testa così lo stomaco del suo interlocutore e lo prepara ai racconti della miseria sociale che caratterizza questa capitale tentacolare.
In questa Mongolia che si arricchisce rapidamente grazie allo sfruttamento delle risorse minerarie finanziato dai capitali cinesi, gli emarginati sono moltissimi.
Un’atmosfera che dà subito la voglia di scappare dalla città per l’altra Mongolia, quella dei grandi spazi e dei cavalli selvaggi. Una Mongolia mitica che sta scomparendo.
Mongolia
• *Abitanti: *circa tre milioni
• *Capitale: *Ulan Bator
• Pil annuo:2.226 dollari nel 2010, 119° paese su 179 secondo l’Fmi.
Tre cose interessanti:
• Gengis Khan è il mongolo più famoso della storia, ma otto secoli dopo la sua morte la sua tomba non è ancora stata trovata. Un’équipe giapponese pensa di averla individuata, ma non ci sono conferme.
• La Mongolia ha avuto un solo campione olimpico, lo judoka Naidangiin Tüvshinbayar che ha vinto una medaglia d’oro alle olimpiadi di Pechino nel 2008.
• L’esercito mongolo è molto piccolo ma è impegnato in diversi teatri di guerra: Afghanistan, Sud Sudan, Darfur e altri. Le missioni di peacekeeping costituiscono un’importante fonte di entrate.
(Questo articolo è uscito su Rue89. Traduzione di Andrea De Ritis)
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