Il G20 di Amburgo sarà inutile ma resta indispensabile
Il vertice del G20 che si riunisce il 7 e l’8 luglio ad Amburgo sarà importante, non per le decisioni attese – non ve ne sarà alcuna di significativa – ma per il semplice fatto che si terrà.
Sarà il vertice delle “prime volte”. In questa occasione infatti Donald Trump, presidente da cinque mesi, incontrerà per la prima volta Vladimir Putin, un’occasione resa impossibile finora dallo scandalo sui presunti contatti di Trump con la Russia. E un momento diplomatico strano che sarà analizzato al microscopio.
Eletto ancora più di recente, il presidente francese Emmanuel Macron incontrerà per la prima volta molti dirigenti e in particolare il numero uno cinese Xi Jinping, l’unico “peso massimo” mondiale che non aveva ancora avuto occasione di conoscere. Uomo dinamico, il presidente francese ha già moltiplicato gli incontri, con Putin, Trump, Erdoğan o con il primo ministro indiano Narendra Modi.
Questi incontri, bilaterali, in comitato ristretto (una riunione Francia-Germania-Ucraina-Russia è prevista in margine al G20 sul conflitto ucraino) o allargati, rappresentano l’unico vero interesse di questo vertice delle più importanti economie mondiali.
Un consenso difficile
Già il mese scorso il vertice del G7 a Taormina aveva riunito le vecchie glorie dell’economia mondiale, cioè i principali paesi occidentali, e l’incontro era servito solo a constatare il disaccordo fra gli europei e Trump; disaccordo confermato pochi giorni dopo con l’annuncio del presidente degli Stati Uniti di voler uscire dall’accordo di Parigi sul clima.
Ad Amburgo sarà ancora più difficile trovare un consenso, nonostante la buona volontà della padrona di casa Angela Merkel che a poche settimane dalle sue elezioni politiche spera di ottenere un buon risultato.
Di fatto sono già diversi anni che questi grandi vertici multilaterali non servono più a nulla, eppure rimangono indispensabili.
Ricordiamo che fu l’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing a organizzare il primo G6 a Rambouillet, vicino a Parigi, nel 1975, una riunione informale per discutere delle questioni economiche e monetarie dopo lo shock petrolifero.
Da allora l’informale è diventato una grande macchina organizzativa che mobilita migliaia di persone, una sicurezza sempre più imponente di fronte a proteste di massa e dei comunicati finali talmente lunghi che più nessuno li legge e talmente dettagliati che a ogni riunione bisogna precisare che il G7 non è diventato il “direttorio del mondo”.
In questa storia durata oltre quarant’anni c’è stato un solo momento di armonia, quello della trasformazione del G7 in G8 con l’ammissione dell’Unione Sovietica di Michail Gorbačëv in via di democratizzazione. All’improvviso il “club” occidentale e ricco era diventato un po’ più rappresentativo del mondo, anche se i paesi del sud dovevano limitarsi a uno strapuntino consultativo alla fine del vertice.
Ma tutto questo non ha retto all’atmosfera di nuova guerra fredda che si è progressivamente creata tra la Russia di Putin e gli occidentali, a tal punto che la Russia non è più invitata al G8 ridiventato G7 e quindi svuotato di significato.
Il G20 è probabilmente l’istituzione più rappresentativa del mondo reale
Rimane quindi il G20, un club diverso dal G7, nato nel 1999 su scala ministeriale e trasformato in vertice di capi di stato su iniziativa di Nicolas Sarkozy in piena crisi finanziaria del 2008-09 (forse la migliore idea del suo quinquennio presidenziale).
Si tratta probabilmente dell’istituzione più rappresentativa del mondo reale, molto più del Consiglio di sicurezza dell’Onu i cui cinque membri permanenti sono i vincitori del 1945 e che non riesce a riformarsi. Almeno il G20 comprende, oltre alle grandi potenze industriali del ventesimo secolo, i paesi emergenti dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, i paesi petroliferi del golfo Persico e i grandi insiemi regionali.
Dieci anni fa alcuni analisti ritenevano che il G20 fosse la prefigurazione di una nuova forma di governo mondiale, tra l’occidente in perdita di velocità e un mondo emergente dall’unità ancora incerta. Ma così non è stato e il G20 rimane solo un club di incontri grazie anche al fatto che il Consiglio di sicurezza dell’Onu continua a essere paralizzato dal clima di nuova guerra fredda e quindi incapace di influire sui conflitti e i drammi mondiali.
Scacchiere complesso
Nel caotico mondo multipolare nel quale siamo entrati quasi senza rendercene conto, il G20 ha il vantaggio di mettere i dirigenti gli uni di fronte agli altri e quindi di favorire il dialogo e i possibili compromessi, là dove le istituzioni previste per questi scopi non riescono a funzionare.
Bisogna dire che lo scacchiere internazionale è diventato sempre più complesso.
Gli Stati Uniti, che fino a non molto tempo fa erano una‘“iperpotenza” (la formula è dell’ex ministro francese Hubert Védrine) dall’appetito egemonico, hanno ridotto progressivamente le loro ambizioni con Barack Obama e sono diventati una grande potenza “disfunzionale” e imprevedibile sotto Trump. Ostile al multilateralismo (accordi sul clima, trattati commerciali, e così via), l’attuale presidente si comporta come un elefante nel negozio di cristalli mondiale alimentando le tensioni nel golfo Persico, giocando al tira e molla con la Cina e alienandosi le simpatie degli europei. È diventato imprevedibile a tal punto che nessuno sa cosa aspettarsi da lui ad Amburgo.
La Russia di Putin è certamente tornata al centro della politica internazionale grazie alla diplomazia aggressiva adottata con la sua periferia più vicina – Ucraina e Georgia – o più lontana come la Siria. Nessuno può sperare di emarginarla o di trattarla come un “piccolo paese che non innova”, come aveva detto Barack Obama alla fine del 2016. Che farà Putin con il suo ritorno in primo piano sulla scena mondiale? Favorirà la distensione per ottenere la fine delle sanzioni che gravano sulla sua economia sempre dipendente dagli idrocarburi? O rafforzerà la sua alleanza con la Cina come ha detto alla vigilia di questo G20? Per ora il mistero rimane.
L’Europa è la bella addormentata dell’ultimo decennio
La Cina di Xi Jinping è la grande beneficiaria della “disruption” trumpiana. Seconda economia mondiale, potenza militare in crescita, la Cina ostenta la sua ambizione di diventare la potenza dominante in Asia – ruolo ancora tenuto dagli Stati Uniti – e di estendere la sua influenza anche oltre, su tutti i continenti grazie alla sua strategia delle “nuove vie della seta” accompagnate da enormi investimenti. Ma nell’anno del congresso del Partito comunista cinese, Xi Jinping non vuole correre rischi e cerca di gestire con calma l’imprevedibilità di Trump e di evitare che nel mar della Cina, in Corea del Nord o sulle questioni commerciali vi possano essere dei problemi o delle brutte sorprese.
Rimane l’Europa, la bella addormentata dell’ultimo decennio che comincia a realizzare il pericolo di diventare la grande perdente di questo inizio del ventunesimo secolo. Indebolita dalla crisi greca, dalla Brexit, dalla crisi migratoria, l’Europa sembra avere buone prospettive grazie alla rinascita dell’asse franco-tedesco e alla coppia “M&M” (Macron-Merkel), caratterizzata da una forte ambizione europea. Le reazioni provocate dalla Brexit e dall’ostilità di Trump sono alla base di questa “rinascita” europea, le cui condizioni sono però ancora lontane dall’essere soddisfatte. Tuttavia, se osserviamo il caos multipolare del mondo, l’Europa può aspirare a svolgere un ruolo virtuoso e di stabilità se riuscirà a superare i suoi ostacoli istituzionali, psicologici e politici.
Ecco il contesto di questo improbabile G20. Un mondo minaccioso è in cerca di una guida ma non la trova. Gli uomini e le (poche) donne che si incontreranno ad Amburgo si studieranno, si valuteranno, prima di decidere i loro prossimi passi. Probabilmente è meglio incontrarsi invece di ignorarsi o combattersi; per questo motivo il G20 rimane indispensabile, anche se di fatto non serve a molto.
(Traduzione di Andrea De Ritis)