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Il parlamento di Strasburgo protegge chi svela i segreti dei potenti

L’ex dipendente della PricewaterhouseCoopers Antoine Deltour (al centro) a Lussemburgo dopo la sentenza che ha ridotto la sua condanna per furto di documenti, il 15 marzo 2017. (Aurore Belot, Afp)

Durante l’ultima sessione prima delle elezioni di maggio, il parlamento europeo ha preso una decisione attesa da tempo da tutti quelli che vorrebbero più trasparenza nella vita delle nostre democrazie. L’argomento è la protezione dei whistleblower (talpe, informatori), persone che si assumono grandi rischi per denunciare uno scandalo o un pericolo all’interno delle aziende e delle istituzioni per cui lavorano.

Gli informatori sono diventati un elemento importante nelle nostre società. Basta pensare alla dottoressa Irène Frachon, la pneumologa francese che ha avuto un ruolo di primo piano nella denuncia dello scandalo Mediator, un farmaco che ha provocato numerosi decessi; o ad Antoine Deltour, ex dipendente di una grande società di revisione, all’origine della vicenda LuxLeaks, che ha rivelato le elusioni fiscali su vasta scala delle multinazionali in Lussemburgo. Deltour è stato trascinato davanti ai tribunali del Lussemburgo e accusato di furto e riciclaggio per aver consegnato alla stampa alcuni documenti compromettenti. Alla fine del procedimento è stato riconosciuto a Deltour lo status di informatore, dopo una lunga battaglia che di sicuro ha scoraggiato chiunque volesse seguire il suo esempio.

Sono proprio lo scandalo LuxLeaks e la sorte di Deltour ad avere innescato l’azione del parlamento europeo.

Quando la nuova direttiva entrerà in vigore nei 27 o 28 paesi dell’Unione (ci vorrà ancora un po’ di tempo) i whistleblower non potranno essere condannati o sanzionati per aver denunciato le attività illegali o pericolose di un ente pubblico o privato.

La direttiva non protegge la diffusione di notizie legate alla difesa e alla sicurezza

Durante il dibattito alcuni hanno chiesto di inserire la condizione che gli informatori denunciassero le violazioni all’interno della loro azienda prima di renderle pubbliche. Questo avrebbe significato esporli a un pericolo reale, e per fortuna questa condizione non è stata accettata.

La direttiva non protegge la diffusione di notizie legate alla difesa e alla sicurezza, invece contempla quelle che riguardano il fisco, i mercati pubblici, la protezione dei consumatori e l’ambiente. È un grande passo avanti nel diritto europeo, anche se le ong avrebbero voluto che si facesse di più.

Non è stato facile ottenere questo risultato. La battaglia è durata tre anni e ha avuto successo grazie al lavoro instancabile di un’eurodeputata francese di sinistra, Virginie Rozière, responsabile del testo.

Rozière si è scontrata con numerosi ostacoli prima di ottenere la maggioranza al parlamento europeo, l’appoggio della Commissione e un accordo tra gli stati. Alcuni paesi, come la Francia, hanno tentato fino all’ultimo di limitare la portata della direttiva, più radicale rispetto alle leggi francesi. Il percorso legislativo è stato facilitato dalla mobilitazione della società civile, portando finalmente, come scrive il sito specializzato Contexte, alla “vittoria politica del parlamento europeo”.

Il parlamento, troppo spesso ignorato e a volte disprezzato, ci ha dunque regalato in extremis, prima della fine della legislatura, un esempio lampante delle sue utili funzioni, come quella di spingere alcuni stati a migliorare la protezione dei cittadini.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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