Di sicuro è l’effetto Brexit. Oggi non si trovano molte figure politiche disposte a fare campagna per uscire dall’Unione europea. Evidentemente lo spettacolo dell’agonia di Theresa May, arrivata al capolinea della sua esperienza come premier senza riuscire a far approvare il suo piano d’uscita negoziato con i 27, ha raffreddato gli animi degli euroscettici.

Dopo decenni d’integrazione, la complessità di un divorzio all’europea è notevole, così come il prezzo da pagare per ritrovare un’indipendenza comunque relativa. Nel 2016 i sostenitori della Brexit non avevano previsto nessuna di queste difficoltà.

Le forze politiche che speravano di cavalcare l’onda della Brexit per forzare altre “uscite” nazionali hanno fatto diversi passi indietro, e i loro elettori hanno abbandonato la causa nonostante il disamore dei popoli nei confronti del sogno europeo.

Varie sfumature
In Francia, per esempio, hanno cambiato strategia i vecchi sostenitori dell’uscita, che piace ormai solo a forze politiche marginali. Durante il dibattito in vista del secondo turno delle presidenziali del 2017, Marine Le Pen aveva incontrato serie difficoltà nel formulare la sua posizione rispetto all’uscita dall’euro. L’indecisione le è costata cara.

Le possibilità che i sovranisti riescano a paralizzare l’Unione sono scarse

Jordan Bardella, capolista del Rassemblement national (ex Front national, estrema destra) non parla più di uscire dall’euro o dall’Unione, e lo stesso si può dire di Matteo Salvini in Italia. Bardella cerca di costruire un gruppo parlamentare sovranista abbastanza potente da paralizzare il funzionamento delle istituzioni europee, e ai microfoni di France Inter, all’inizio di questa settimana ha parlato solo di “modificare” la politica europea.

Dall’altra parte dello scacchiere, Manon Aubry, capolista di France insoumise, paventa la possibilità di non rispettare alcuni trattati e innescare una crisi, ma non ipotizza più un’uscita dall’Unione. Un approccio molto più ambiguo rispetto al “piano B” proposto da Jean-Luc Mélenchon nel 2017, che consisteva chiaramente nell’uscita dall’Unione europea.

Ci sono varie sfumature, perché se l’impegno a lasciare l’Unione è qualcosa di netto, la promessa di un “cambiamento” o di una nuova rotta è più difficile da valutare.

Le possibilità che i sovranisti riescano a paralizzare l’Unione sono scarse, perché gli antieuropeisti e gli euroscettici sono lontani dalla maggioranza anche nei paesi dove ottengono i migliori risultati, come la Francia e l’Italia.

Nuova tattica per vecchie idee
Il gruppo sovranista al parlamento europeo sarà più nutrito rispetto all’assemblea precedente, malgrado il recente scandalo che ha coinvolto i ministri dell’estrema destra in Austria abbia fatto cadere il governo. Ma l’estrema destra non avrà i numeri per fermare l’Unione.

La Brexit ha senz’altro avuto un effetto virtuoso, facendo prendere coscienza dei rischi connaturati al fallimento di un’Europa che, nonostante i suoi difetti, ha una palese ragione di esistere in un mondo nuovamente basato sui rapporti di forza. Quelli che detestano l’Europa, comunque, non hanno cambiato idea. Hanno solo cambiato tattica.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Guarda anche:

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it