Chi vuole scatenare una guerra nello stretto di Hormuz
Come fareste se voleste scatenare una guerra in una regione che vive di petrolio e gas e attraverso la quale passa buona parte dell’approvvigionamento di idrocarburi del mondo? Semplice, attacchereste le petroliere.
È esattamente quello che è accaduto il 13 giugno nel mare di Oman, nei pressi dello stretto di Hormuz attraverso il quale transitano ogni anno circa 2.400 petroliere. Due navi cisterna cariche sono state attaccate e sono stati pubblicati video che le mostrano in fiamme. Gli equipaggi sono stati messi in salvo.
L’unica domanda, a questo punto, riguarda i responsabili. Chi ha organizzato gli attacchi? Chi si è assunto la responsabilità di commettere l’unico atto che potrebbe provocare una guerra in una delle zone più armate e instabili del mondo?
Al momento non sappiamo chi ha attaccato le petroliere, e il problema sta tutto qui. Gli Stati Uniti, la cui quinta flotta ha il suo quartier generale in Bahrein, hanno puntato subito il dito contro l’Iran, la loro bestia nera. Nel frattempo, però, Teheran stava ospitando il primo ministro giapponese Shinzo Abe, arrivato per tentare una mediazione, e ha respinto le accuse.
Il solo fatto che non si possa attribuire la responsabilità di un atto di guerra così provocatorio rappresenta un problema, perché ogni incidente di questo tipo provoca un’escalation. È già accaduto il mese scorso dopo il sabotaggio non rivendicato di quattro navi nella stessa zona. Gli statunitensi avevano accusato l’Iran, senza però presentare prove.
L’Iran è in cima alla lista dei sospetti perché ha dichiarato pubblicamente che se non potrà più esportare petrolio, allora nessun altro nella regione potrà farlo. È esattamente questo che fanno gli Stati Uniti con le loro sanzioni petrolifere.
A prescindere da chi sia il responsabile bisogna abbassare la tensione
In questa situazione, e a poche settimane dalla ripresa annunciata di parte del suo programma nucleare, l’Iran può davvero permettersi di offrire agli Stati Uniti il pretesto che alcuni esponenti dell’amministrazione Trump non vedono l’ora di avere per provocare un cambiamento del regime?
L’altra ipotesi, che non possiamo escludere, è quella di una provocazione con l’obiettivo di scatenare il conflitto. Ma chi potrebbe averla ordita? Con l’autorizzazione di chi? Con quali mezzi militari? I paesi che potrebbero averlo fatto sono numerosi e di sicuro non gli mancano i mezzi.
L’esempio dell’Iraq
Di recente Gérard Araud, fino a poco tempo fa ambasciatore della Francia a Washington, aveva espresso la propria preoccupazione nel notare, contro l’Iran, gli stessi argomenti usati per attaccare l’Iraq nel 2003, in molti casi negli stessi mezzi d’informazione. “Non abbiamo imparato niente da quel disastro?”, si domandava l’ambasciatore.
A prescindere da chi sia il responsabile – l’Iran, una provocazione o un terzo attore malintenzionato – la cosa da fare al più presto è ridurre la tensione prima che un incidente di troppo scateni un conflitto catastrofico per il mondo intero. Il problema è che i mediatori sono merce rara, e le Nazioni Unite, in particolare, non sono più nella condizione di ricoprire questo ruolo.
L’Europa mantiene un canale aperto con Teheran dopo l’accordo sul nucleare del 2015 e dovrebbe assumersi questa responsabilità. Resta da capire se è in grado di farlo. Sarebbe fondamentale, prima che arrivi la scintilla decisiva.
(Traduzione di Andrea Sparacino)