In questo momento è forte la tentazione di stabilire un parallelo tra le rivolte popolari che agitano il pianeta dal Cile a Hong Kong. Ma quando due paesi arabi come il Libano e l’Iraq, dalle storie e dai sistemi politici molti diversi, producono movimenti di protesta con svariati punti in comune, i paragoni sono più sensati.
Ciò che distingue i due paesi è evidente. L’Iraq ha conosciuto la dittatura di Saddam Hussein, l’invasione statunitense del 2003, una guerra civile e l’incubo del gruppo Stato islamico (Is). La violenza perseguita il paese da decenni.
Il Libano, invece, vive una situazione di tregua dalla fine della guerra civile, nel 1990, ma anche una paralisi politica dovuta agli equilibri comunitari e una crisi economica profonda. Dunque non c’è da sorprendersi se le proteste irachene sono represse nel sangue mentre quelle libanesi crescono in modo pacifico.
Laicità e lavoro
Eppure ci sono diversi punti in comune tra le due rivolte che agitano l’Iraq da un mese e il Libano da qualche giorno.
Prima di tutto c’è il rifiuto generalizzato della corruzione e dell’inefficacia dei governi, espresso da una gioventù privata del suo futuro e che, nell’epoca dominata da internet, non si rassegna alla mediocrità e all’incuria.
In secondo luogo c’è il desiderio di superare le divisioni religiose che da tempo definiscono le società dei due paesi. Questo aspetto è evidente in Libano, dove la costituzione ereditata dalla presenza francese si basa sugli equilibri delle confessioni religiose. Le centinaia di migliaia di persone che scendono in piazza rivendicano una maggiore laicità e, per farlo, in settimana hanno organizzato una catena umana da nord a sud.
In Iraq il governo usa il pugno di ferro, in Libano l’atmosfera è incredibilmente festosa
In Iraq è evidente la volontà di superare la divisione tra sunniti, sciiti e curdi che ha segnato l’epoca successiva alla caduta di Saddam Hussein, anche se le rivolte coinvolgono soprattutto le grandi città e molto meno le regioni sunnite appena sopravvissute alla guerra contro l’Is (e sono del tutto assenti nel Kurdistan autonomo).
La risposta delle autorità è molto diversa nei due paesi. In Iraq il governo usa il pugno di ferro per sfiancare il movimento di protesta, e al momento il bilancio è di 220 morti e ottomila feriti. In Libano l’atmosfera è invece incredibilmente festosa, anche se è palese la fragilità dell’equilibrio attuale.
Ma c’è un altro punto in comune: il Libano e l’Iraq sono terre d’influenza per l’Iran e al centro di rivalità regionali. Questo rende le due rivolte estremamente pericolose, perché non mettono in discussione solo gli interessi di pochi politici. In effetti è impossibile immaginare che in Libano Hezbollah possa cedere il controllo del potere solo grazie alla spinta della piazza, così come il governo iracheno non intende “farsi da parte” solo perché lo chiedono i manifestanti.
A quasi dieci anni dalla primavera araba, governi dalla discutibile legittimità continuano a rifiutarsi di cedere alla volontà del popolo, la cui voce è sempre più forte e chiara.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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