Il problema della strategia del “tenetemi o faccio un casino” è che se nessuno si muove, alla fine succede un casino. Non ci siamo ancora, ma è ciò che sta accadendo a proposito del nucleare iraniano. Il 6 novembre Teheran ha compiuto un nuovo passo verso la ripresa del suo programma nucleare, in violazione dell’accordo internazionale concluso nel 2015. A questo punto l’accordo è appeso a un filo, e si attende solo il colpo di grazia.
Esistono due “colpevoli” per la demolizione di un trattato che era stato accolto, a suo tempo, come un esempio di grande diplomazia capace di scongiurare una catastrofe globale.
Il primo è chiaramente Donald Trump, che nel 2018, per prendere le distanze da Barack Obama, il suo predecessore, ha deciso di rinnegare l’accordo per poi imporre sanzioni durissime a Teheran. Ma anche l’Iran ha fatto la sua parte, infrangendo l’accordo per spingere gli europei a reagire. Questa strategia non ha funzionato, e adesso l’Iran è esposto alle conseguenze delle sue infrazioni.
Occasione persa
La diplomazia francese ha tentato ripetutamente di allentare la tensione tra Washington e Teheran, prima al G7 di Biarritz a fine agosto e poi alle Nazioni Unite a settembre. Parigi è andata molto vicina al successo, ma alla fine l’assemblea generale dell’Onu a cui hanno partecipato Trump e il presidente iraniano Hassan Rohani è passata alla storia come un’occasione persa, forse l’ultima.
La Francia chiede all’Iran di rinunciare alle violazioni dell’accordo e a Trump di alleggerire le sanzioni
Ora però il presidente francese Emmanuel Macron ha deciso di rilanciare la sua mediazione. Di ritorno dalla Cina, altro paese innervosito dalla presunzione statunitense e dalle provocazioni degli iraniani, Macron incontrerà tra qualche giorno Trump e Rohani per tentare di fermare un’escalation che non porterà nulla di buono in una regione già stravolta dai conflitti.
La Francia chiede all’Iran di rinunciare alle violazioni dell’accordo, che non avrebbero altro effetto se non quello di attivare le procedure d’infrazione e isolare ulteriormente Teheran. Allo stesso tempo Macron chiede a Trump di alleggerire le sanzioni, che nei piani di Washington avrebbero dovuto piegare il governo iraniano ma che in realtà stanno colpendo solo la popolazione e di conseguenza rafforzando la posizione dei falchi del regime. Con questa manovra Parigi vorrebbe rimettere in sella il presidente Rohani e il suo ministro degli esteri Zarif, oggi chiaramente indeboliti.
Ma l’esperienza degli ultimi mesi non è incoraggiante. Trump è assorbito dalla procedura di impeachment e farà concessioni solo se gli porteranno un vantaggio elettorale, mentre l’Iran, oltre alle sanzioni, vede le proprie posizioni regionali contestate dalle rivolte popolari in Libano e in Iraq. Il rafforzamento dell’ala più radicale del regime iraniano non porterà nessuna apertura. Tanto più che la Russia, già alleata di Teheran in Siria, sembra aver scelto di sostenere l’Iran anche in questa nuova crisi.
E così, inesorabilmente, l’Iran si avvicina al punto di non ritorno, con tutto ciò che ne deriva. Se fermare l’escalation si rivelerà impossibile, sarà un fallimento di cui ancora non riusciamo a comprendere tutte le conseguenze.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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