È una vicenda significativa del modo in cui l’amministrazione Trump si comporta con gli alleati, in questo caso la Corea del Sud. In cambio di una garanzia sulla sicurezza nazionale, i leader di Seoul si sono visti recapitare una fattura statunitense quintuplicata, da 900 milioni di dollari nel 2019 a cinque miliardi di dollari nel 2020.

Gli Stati Uniti mantengono 28.500 soldati sul territorio sudcoreano, eredità della guerra di Corea dell’inizio degli anni cinquanta e della tensione mai svanita con la Corea del Nord. Per questa presenza e per la conseguente protezione offerta in caso di aggressione, Washington batte cassa.

Il conto era già aumentato dell’8 per cento quest’anno, conformemente al desiderio manifestato da Donald Trump di far contribuire maggiormente i paesi protetti dall’esercito statunitense. Ma una moltiplicazione per cinque da un anno all’altro ha indispettito la Corea del Sud. Il 19 novembre una riunione sull’argomento è stata interrotta bruscamente.

I sudcoreani sono scandalizzati, senza distinzioni di orientamento politico. Anche la destra conservatrice, che di solito sfila sventolando la bandiera statunitense per ricordare la fratellanza d’armi, ha espresso tutta la sua indignazione.

Davanti all’ambasciata degli Stati Uniti si sono accampati alcuni manifestanti per denunciare una “mancanza di rispetto” nei confronti di un alleato fedele in una delle aree più delicate del pianeta.

Fin dall’inizio del suo mandato Trump gestisce la alleanze con una logica contabile e non geopolitica

I sudcoreani sono disposti a pagare di più, anche in ragione della riuscita economica del paese. Ma ritengono assolutamente sproporzionato il passaggio da un aumento dell’8 per cento già accettato a una richiesta quintuplicata.

I mezzi d’informazione sudcoreani sottolineano che la vicenda potrebbe avere gravi conseguenze sull’alleanza militare tra i due paesi, anche se difficilmente la Corea del Sud si priverebbe dell’ombrello americano davanti a una Corea del Nord nuclearizzata. A prescindere dai rischi, però, nel fine settimana Seoul ha annunciato una trattativa con la Cina per concludere un accordo sulla difesa che possa “garantire la stabilità regionale”.

Questo significa che gli Stati Uniti non avrebbero alcun interesse a indebolire la loro alleanza con Seoul. Il problema è che fin dall’inizio del suo mandato Trump gestisce la alleanze con una logica contabile e non geopolitica.

L’affondo di Macron sulla Nato
È il caso dell’Asia, dove la ragione dovrebbe spingerlo a rafforzare i legami con Seoul per contenere l’avanzata della Cina. Ma è anche il caso dell’Europa, dove Trump ha inaugurato i suoi personali rapporti con i paesi della Nato accusandoli di non spendere abbastanza per la loro difesa.

La vicenda sudcoreana calza a pennello nel momento in cui gli europei discutono intensamente la dichiarazione con cui il presidente Emmanuel Macron ha confessato all’Economist di ritenere la Nato in uno stato di “morte cerebrale”.

Secondo la rivista Der Spiegel, il capo della diplomazia tedesca Heiko Maas ha proposto di organizzare un dibattito sul futuro della Nato prima del vertice in onore dei settant’anni dell’alleanza atlantica che si terrà il 3 e 4 dicembre a Londra. Al centro della discussione ci sarà sicuramente la difficoltà di essere alleati di Donald Trump, in Europa come in Asia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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