Il Libano, piccolo paese con una superficie di appena 10.452 chilometri quadrati, sta cercando di risolvere tutti i problemi del mondo. Da più di un mese centinaia di migliaia di libanesi protestano, danzano, cantano e resistono in modo assolutamente pacifico e gioioso. I manifestanti chiedono l’impossibile, e non è detto che alla fine non lo ottengano.

Le chiassose dimostrazioni di unità dei libanesi hanno innanzitutto il merito di aver chiuso definitivamente la dolorosa pagina della guerra civile, un conflitto che dal 1975 al 1990 ha devastato la capitale Beirut che ancora ne porta i segni.

La guerra civile era terminata una volta che gli eroi erano stati sopraffatti dalla fatica, la posta in gioco internazionale si era ridotta ed era stato trovato un compromesso. Quella è stata la pace dei capi della guerra, che dopo essersi scontrati senza esclusione di colpi avevano deciso di spartirsi “la torta” a spese del paese e dei suoi abitanti. Ora i manifestanti hanno scacciato la paura di una ripresa delle ostilità e chiedono la fine dello sfruttamento selvaggio del paese.

Fine della mentalità settaria
Il secondo merito della rivolta è quello di voler superare le divisioni settarie che avvelenano il Medio Oriente. È una grande notizia dopo anni segnati dal conflitto tra sciiti e sunniti, dalle persecuzioni contro le minoranze e dal califfato fondamentalista, così come è bello ascoltare lo slogan dei libanesi, “tutti significa tutti”, espressione della volontà di lasciarsi alle spalle un sistema politico fondato su un comunitarismo religioso.

Certo, non si possono cancellare in un solo colpo secoli di divisioni e guerre, ma un “libanese nuovo” sta emergendo dalle manifestazioni: giovane, attivo su internet e deciso a uscire dalla “prigione” mentale settaria.

Il terzo merito della protesta è quello di riecheggiare il clamore che emerge ai quattro angoli del mondo contro le disuguaglianze divenute ormai insopportabili, l’inefficacia della gestione pubblica, l’assenza di uno stato funzionale e la corruzione che si diffonde come una cancrena.

Di sicuro una parte della vecchia classe politica non accetterà pacificamente di essere messa alla porta

Il Libano è un non stato, come ha dimostrato qualche anno fa la paradossale “crisi della spazzatura”, dovuta all’incapacità del potere pubblico di gestire i rifiuti della capitale. Quella era stata la prima avvisaglia di ciò che sta accadendo oggi, con la ribellione di un popolo intelligente e maturo che merita qualcosa di più di un presidente che invita i giovani scontenti a emigrare. Finora soltanto l’esercito è stato risparmiato dalla contestazione, e questo lascia pensare che i militari potrebbero avere un ruolo chiave nell’immediato futuro.

Il peso dell’Iran e della Francia
Affrontare tutti i problemi del mondo – politici, identitari e sociali – pur vivendo in una regione-polveriera rasenta l’incoscienza o quantomeno un’audacia senza limiti. I libanesi sono effettivamente un po’ incoscienti e un po’ audaci, anche se ignorano i limiti del mondo reale. Di sicuro una parte della vecchia classe politica non accetterà pacificamente di essere messa alla porta. Sono troppi gli interessi in ballo e troppa l’arroganza. Per non parlare di Hezbollah e del suo “padrino”, l’Iran, che hanno investito tantissimo nel peso geopolitico di un Libano situato alla frontiera con Israele e Siria, limite occidentale del cosiddetto “arco sciita” di cui si parla spesso. Le difficoltà dell’Iran, tra sanzioni e rivolte, avranno un grande peso nelle scelte future.

Infine non possiamo dimenticare che il Libano è sull’orlo della bancarotta e a tempo debito avrà bisogno dell’aiuto della comunità internazionale. Se s’è un paese in cui la Francia ha ancora un certo peso è sicuramente il Libano, in cui tra l’altro i francesi hanno più di qualche responsabilità nel funzionamento istituzionale dell’equilibrio comunitario. Parigi, evitando qualsiasi ingerenza, potrebbe proteggere l’ascesa di questo “nuovo Libano” smorzando le inevitabili tensioni. Sarebbe un’operazione assolutamente meritevole.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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