A 70 anni, la Nato si domanda come sopravvivere
Quasi senza soluzione di continuità, il presidente francese Emmanuel Macron passa dall’omaggio nazionale reso il 1 dicembre ai tredici militari francesi morti in Mali al settantesimo anniversario della Nato a Londra. È una casualità tragica del calendario, ma il simbolismo è forte.
Se la parola della Francia può ancora avere un certo peso all’interno dell’Alleanza atlantica è perché Parigi può contare su uno dei rari eserciti europei, impegnato in combattimenti e dunque pronto a pagare “il prezzo del sangue”, per riprendere la formula utilizzata da Macron.
Di recente il presidente francese ha fatto un uso assordante di questa parola, dichiarando che la Nato è “in stato di morte cerebrale”. Le dichiarazioni provocatorie di Macron, pubblicate dal settimanale The Economist, hanno sconvolto o innervosito più di uno stato membro della Nato, regalando al presidente gli insulti del suo collega turco Recep Tayyip Erdoğan che ha accusato Macron di essere lui stesso “in stato di morte cerebrale”. Una bella atmosfera, non c’è che dire.
Un vertice bizzarro
Questa condanna da parte di Macron sarà sicuramente ben presente nella mente dei rappresentanti che si riuniscono il 3 e 4 dicembre a Londra, e creerà inevitabilmente un ordine del giorno “non detto” per un vertice che si annuncia bizzarro per più di un motivo. Dietro le quinte è già stato concordato un comunicato finale congiunto, ma di sicuro si moltiplicheranno i contatti per discutere il futuro di un’alleanza che aveva tutti i motivi per esistere durante la guerra fredda ma che ormai soffre di turbe esistenziali.
Ad alimentare il dibattito è prima di tutto il ruolo degli Stati Uniti, “padrini” della Nato, punto di riferimento dell’organizzazione per gran parte degli ultimi settant’anni e ormai sempre meno motivati. Donald Trump ha definito la Nato “obsoleta”, senza però suscitare la stessa levata di scudi di Macron. Al di là delle esternazioni dell’attuale presidente, comunque, tutti percepiscono che la politica di Washington sta cambiando.
Gli europei lo sanno benissimo, a cominciare dai tedeschi, evidentemente preoccupati. Ma in pochi pensano, come Macron, che valga la pena esprimere i propri sentimenti a voce alta. Gérard Araud, ex ambasciatore della Francia a Washington e che dopo il suo mandato ha ritrovato la libertà di parola, riassumeva il 1 dicembre su Twitter il malinteso di una battuta, sottolineando che quando la Francia dice: “Gli Stati Uniti se ne vanno. Dovremmo essere pronti a difenderci senza di loro”, gli alleati rispondono: “Silenzio, si rischia di farli andare via”. È un dialogo tra sordi.
Emmanuel Macron è stato costretto a precisare che non vuole far sparire la Nato ma solo accelerare la creazione di una difesa europea di cui parla da anni e che comincia a emergere solo adesso. La sua frase provocatoria ha sicuramente ravvivato il dibattito, ma lo ha anche complicato.
E poi c’è il caso della Turchia, argomento scottante e non solo a causa degli insulti di Erdoğan. L’attacco turco nel nordest della Siria contro gli alleati curdi della coalizione antijihadista ha innescato nuove tensioni con Ankara. Ma ci sono anche l’acquisto di armi russe da parte di un paese della Nato, le sue operazioni preoccupanti in acque cipriote e al confine con la Libia e il suo ricatto permanente nei confronti dei migranti. La lista, insomma è lunga. Con alleati così, chi ha bisogno di nemici?
A Londra ci sarà un chiarimento tra le tre principali potenze europee (Germania, Francia e Regno Unito) e il presidente turco. Un chiarimento che però promette di essere piuttosto brusco. Segno dei tempi, il vertice di Londra dipenderà dall’umore di Donald Trump e da quello di Erdoğan. La difesa europea, più che con loro, probabilmente si farà malgrado loro.
(Traduzione di Andrea Sparacino)