È possibile che la nuova ondata di ribellioni nel mondo arabo sia condannata a infrangersi sul muro del potere che ricorre alla forza, degli interessi finanziari e geopolitici radicati e dell’indifferenza (o sarebbe meglio dire la complicità) del resto del mondo? È difficile non percepire la fragilità dell’aspirazione verso il cambiamento visitando il Libano, uno dei “laboratori” di questi movimenti in equilibrio tra rivoluzione e rivolta. Entrata nel suo terzo mese, la protesta libanese è alla ricerca di nuovo slancio.
Il Libano presenta tutti gli ingredienti alla base dei movimenti di protesta: povertà cronica di parte della popolazione, disprezzo sociale, nepotismo e corruzione, oltre a uno stato inefficace e ingiusto. Ma in Libano, per molto tempo, il trauma della guerra civile, la libertà d’espressione e il clientelismo politico hanno permesso di smorzare gli effetti di questo mancato sviluppo.
Ora però le cose sono cambiate, prima di tutto perché una nuova generazione si è liberata dal peso della storia, del settarismo ossessivo e della paura del futuro. Contro ogni tradizione, sono i giovani ad aver trascinato i loro genitori che sembravano rassegnati, portando un soffio di idealismo in questo paese malmenato. Sotto una tenda nei pressi del Grand Sérail a Beirut, attorno a un narghilè condiviso mentre la pioggia si abbatte sulla città, un gruppo di giovani di ogni religione ridisegna il mondo in una serata di dicembre, deciso ad andare fino in fondo.
Piccoli accordi
Ma le forze conservatrici e controrivoluzionarie non sono ancora state sconfitte. Anzi, al contrario. Dopo una prima fase di shock all’inizio della protesta, il 17 ottobre, gli ingranaggi politici hanno ricominciato a funzionare in questo Libano ancora fondato sui piccoli accordi di “spartizione della torta” negoziati al temine della guerra civile, nel 1990.
Il primo ministro Saad Hariri, dimissionario, potrebbe diventare il successore di se stesso, magari con qualche faccia nuova ma anche insieme a tutte le forze politiche che collettivamente sono responsabili della crisi. Tutto questo sforzo per così poco? “Ruberanno un po’ meno rispetto a prima”, ironizza cinicamente un intellettuale libanese.
I poteri coinvolti hanno interesse a cambiare tutto perché nulla cambi. I più anziani l’hanno capito, i giovani pensano comunque che valga la pena combattere la battaglia per il rinnovamento
Il potere, insomma, si rifà il trucco e promette di affrontare tutti i problemi trascurati per anni – elettricità a singhiozzo, spazzatura non smaltita, disoccupazione e corruzione onnipresente – soprattutto per convincere la comunità internazionale, che sarà chiamata a mettere mano al portafogli per salvare il Libano dalla crisi finanziaria. “È necessario che le autorità politiche libanesi si diano una svegliata”, ha commentato il capo della diplomazia francese Jean-Yves Le Drian, non certo per contestare il “sistema” come fanno i manifestanti ma per renderlo più presentabile.
Con la forza (come in occasione delle ultime manifestazioni), con le provocazioni, con la dissuasione o con la forza d’inerzia, i poteri coinvolti hanno interesse a cambiare tutto perché nulla cambi, che si tratti dei filooccidentali di Saad Hariri o dei filoiraniani di Hezbollah, fulcro del sistema pur disponendo di un esercito e di una struttura paralleli. I libanesi più anziani hanno capito, perché hanno già visto tutto. Ma non i più giovani, impegnati nella lotta per la sopravvivenza e per un Libano degno.
La storia abbonda di battaglie impari che hanno avuto un esito sorprendente, ma questa, in particolare, sembra molto difficile da vincere. I libanesi che ho incrociato a Beirut pensano comunque che valga la pena di combatterla.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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