Il nucleare iraniano torna al centro del dibattito
In un tweet scritto appena sveglio il 6 gennaio, Donald Trump ha spostato indietro di almeno un decennio i rapporti internazionali. Scrivendo in maiuscolo (un chiaro segno di rabbia) il presidente degli Stati Uniti ha sintetizzato il suo pensiero in un’unica frase: “L’Iran non avrà mai l’arma atomica”.
Trump ha reagito così all’annuncio con cui l’Iran ha comunicato il 5 gennaio di non sentirsi più vincolato ai limiti imposti dall’accordo sul nucleare del 2015. La formula, ambigua, restituisce al paese la libertà di rilanciare il suo programma di arricchimento, senza però cancellare formalmente un accordo internazionale che, pur moribondo, non è ancora ufficialmente morto.
Il proclama di Trump ricorda i lunghi anni della frustrazione, in cui la comunità internazionale si opponeva senza successo al programma nucleare iraniano, soprattutto all’epoca del presidente Mahmud Ahmadinejad. In quel periodo l’unica reazione possibile sembrava un’azione militare, ma nessuno, nemmeno Israele (che pure ci aveva pensato) si è mai deciso a fare il passo decisivo.
Un negoziato inesistente
In realtà non siamo ritornati proprio a quella condizione. Da allora c’è stato l’accordo del 2015, concluso dagli Stati Uniti guidati da Obama, da tre paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito), dalla Commissione europea e dagli altri due membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Russia e Cina). È stato proprio questo accordo a fermare la marcia dell’Iran verso la bomba atomica.
Il paradosso del tweet di Trump è che il presidente si comporta come se non ci fosse mai stato un lungo negoziato né un accordo che l’Iran ha sempre rispettato. Alla fine sono stati gli americani a ritirarsi, aprendo la strada alla crisi complessa che stiamo vivendo in questo momento.
L’ora della diplomazia non è ancora arrivata
Oggi l’unico dubbio riguarda la lezione che da tutto questo trarranno i leader iraniani: penseranno che è necessario dotarsi al più presto della bomba atomica per cancellare l’attuale vulnerabilità e conquistare, come il leader nordcoreano Kim Jong-un, un rapporto di forze più favorevole? Oppure sceglieranno di usare la minaccia del nucleare come risorsa per il negoziato, per riguadagnare lo status internazionale che era stato garantito dall’accordo del 2015?
L’ora della diplomazia non è ancora arrivata. Gli appelli alla vendetta continuano a dominare la scena iraniana, e Donald Trump continua ad avere bisogno di ripetere che la forza di dissuasione degli Stati Uniti è stata ripristinata. Il rischio che le cose volgano al peggio non è ancora scomparso.
Eppure, come hanno scritto ieri due esperti statunitensi sul New York Times, senza un ritorno al tavolo del negoziato Trump si ritroverà davanti a una scelta drastica: accettare l’atomica iraniana o bombardare l’Iran. Nessuna delle due ipotesi è allettante. Questo lascia sperare che prima o poi possa tornare in scena la diplomazia.
È ciò che sperano tedeschi, britannici e francesi, che hanno pubblicato un comunicato condiviso e cercano di ravvivare un negoziato inesistente. Oggi sono impotenti spettatori di una crisi che non vorrebbero, ma l’unico modo di fermare il meccanismo dello scontro è passare attraverso gli unici che possono parlare con tutti, ovvero gli europei.
È una piccola speranza in questo clima deleterio. Resta il fatto che il tweet di Donald Trump rivela un’impasse che può lasciare spazio alla ragione.
(Traduzione di Andrea Sparacino)