E se la principale minaccia per l’Europa centrale e orientale nascesse dall’emigrazione? Attenzione, emigrazione, non immigrazione, ovvero la partenza di milioni di giovani verso l’Europa occidentale dopo l’apertura delle frontiere.
Due studi recenti sottolineano questo argomento sottovalutato nell’analisi degli ex paesi comunisti, oggi membri dell’Unione europea e in molti casi governati da politici “illiberali”.
Il politologo bulgaro Ivan Krastev, direttore di un think tank a Sofia e tra le voci più interessanti dell’Europa orientale, evidenzia in un articolo pubblicato dal Financial Times il legame tra le problematiche demografiche e quelle democratiche in Europa orientale.
Declino inquietante
Krastev ricorda che, complessivamente, i paesi dell’est hanno perso 19 milioni di abitanti dagli anni novanta, ovvero il 6 per cento della popolazione. Nella maggior parte dei casi si è trattato di giovani istruiti, che hanno lasciato le loro case alla ricerca di lavoro in altri paesi europei. Questo disequilibrio si accompagna spesso a un calo della natalità, che aggrava il deficit demografico. Un doppio declino inquietante.
Un altro studio curato da due fondazioni francesi, Institut Montaigne e Terra Nova, sostiene che l’emigrazione interna in Europa dell’est “penalizzi economicamente e socialmente” i paesi d’origine. Gli autori si soffermano sui “disequilibri crescenti” in Europa tra paesi che perdono le loro forze più vitali e paesi che, al contrario, compensano il calo delle nascite con questa immigrazione europea.
Chi ha visto partire i propri figli considera ingiusto accogliere migranti extraeuropei
Il primo ministro croato Andrej Plenkovic, il cui paese figura tra quelli che si spopolano più rapidamente, definisce il problema “esistenziale”. Questa insicurezza gioca un ruolo importante nelle tensioni identitarie e nelle reazioni politiche a est, oltre che nell’incomprensione latente tra le due metà dell’Europa.
Nel nord della Romania, una regione colpita duramente dall’esodo dei giovani, sono rimasto sorpreso da come viene vissuto il problema migratorio. I romeni che hanno visto partire i loro figli considerano ingiusto dover accettare migranti extraeuropei. Il loro rifiuto è più complesso di una semplice ostilità razzista.
Secondo Krastev la partenza dei giovani toglie alle forze politicamente liberali una parte del loro vivaio naturale. Inoltre il cosiddetto illiberalismo prospera sulla promessa non tanto di chiudere le frontiere, ma di fare distinzione tra cittadini e non cittadini.
Questa ossessione dettata dalla paura del declino mette le società dell’est in rotta di collisione con il progetto europeo. In Ungheria, per esempio, la percezione di una doppia crisi – emigrazione e natalità ridotta – è stata “trasformata politicamente” da Viktor Orbán in un rifiuto della politica migratoria europea. Montaigne e Terra Nova chiedono un approccio “più lucido alla realtà migratoria in Europa, che possa concentrarsi anche sulla dimensione dei social network”. Un modo per sdrammatizzare un argomento sempre più esplosivo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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