È inevitabile provare una sensazione di déjà-vu davanti alle immagini drammatiche alla frontiera turco-greca, che riportano alla mente la miseria dell’inverno 2015. Cosa potrebbe essere peggiore di una ripetizione degli eventi di quell’anno che hanno spaccato l’Europa evidenziandone la totale incapacità di affrontare un imprevisto? All’epoca l’Unione europea aveva appaltato il problema migratorio alla Turchia, pagando con un grosso assegno e una tremenda umiliazione.
Oggi quell’accordo economico torna a perseguitare gli europei, che nel frattempo si sono comportanti come se il problema non esistesse, quando in realtà era stato semplicemente spostato oltre la frontiera.
Per distruggere la stabilità di facciata è bastato un contesto esplosivo, ovvero il conflitto nella regione di Idlib, nel nordest della Siria, con l’offensiva del regime di Bashar al Assad appoggiata da Russia, Iran e dagli Hezbollah libanesi. A questo bisogna aggiungere la decisione cinica del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di trasformare milioni di uomini, donne e bambini disperati in strumenti di pressione nei confronti di un’Europa che Ankara non rispetta e non teme.
Le crisi sono due, benché intimamente legate: quella di Idlib, dove l’esercito turco ha subìto pesanti perdite ed è entrato in rotta di collisione con il regime di Assad; e quella che la Turchia ha appena innescato invitando i migranti che ospita da anni sul suo territorio a dirigersi verso l’Europa, nella fattispecie verso la Grecia.
Per l’Europa non esiste alcuna possibilità di influire sul conflitto in Siria
Il 3 marzo il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian ha accusato Erdoğan di aver strumentalizzato i profughi per fare pressione sull’Europa e ottenerne l’appoggio in Siria. Come già fatto alla vigilia dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, Le Drian ha definito inaccettabile il comportamento del presidente turco.
Il ministro ha evidentemente ragione, ed Erdoğan si scredita da sé quando si vanta durante le riunioni di aver mandato milioni di persone in Europa. Ma opporsi alla Turchia, che ha comunque accolto quattro milioni di profughi, non è una risposta politica adeguata, così come non lo è l’idea di un’Europa “fortezza” barricata dietro il fino spinato.
Diciamoci la verità, per l’Europa non esiste uno scenario positivo. Gli europei non hanno alcuna possibilità di influire sul conflitto in Siria, che resta la causa principale della pressione migratoria. Inoltre l’Unione non ha modo di influenzare la Turchia e ancora meno la Russia, attori chiave nella crisi. Infine l’insuccesso del 2015 ci ha insegnato che l’Ue è incapace di definire una politica comune sull’immigrazione.
Siamo davanti all’ennesimo test per le ambizioni dell’Europa. Se il vecchio continente non sarà all’altezza della situazione, perderà la poca credibilità residua e lascerà prosperare le forze populiste ed estremiste che approfittano della paura.
L’Unione europea ha un triplo imperativo: di umanità, tristemente assente nelle scene in corso da giorni alla frontiera greca; di solidarietà nei confronti di paesi che costituiscono il confine esterno dell’Europa; e infine di coerenza per trovare soluzioni diplomatiche a questa nuova sfida. Sarà molto difficile. D’altronde è il prezzo da pagare per l’accumulo di problemi colpevolmente ignorati in passato.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it