Esiste una vittima collaterale della pandemia di Covid-19: la cooperazione internazionale, strumento indispensabile davanti a una minaccia che, per definizione, è globale.
Il 16 marzo si svolgerà un vertice eccezionale del G7, il club dei principali paesi occidentali. Naturalmente la riunione avverrà in videoconferenza, perché al momento è impensabile riunire i leader nazionali nello stesso luogo. Il vertice era atteso da tempo, perché il mondo vive l’emergenza ormai da due mesi. Il modo in cui è stato organizzato la dice lunga sulle ragioni di questa lentezza.
La presidenza di turno del G7 al momento spetta a Donald Trump, che ha minimizzato a lungo la gravità dell’epidemia parlando di “bugia” inventata dai suoi avversari, prima di dichiarare, la settimana scorsa, l’emergenza nazionale. Da allora il presidente degli Stati Uniti ha moltiplicato i provvedimenti unilaterali, colpendo perfino i suoi alleati. La sospensione dei voli con l’Europa è solo un esempio.
Coordinamento su tre livelli
L’iniziativa di organizzare il vertice non è stata presa da Trump, ma dal leader francese Emmanuel Macron. Il presidente degli Stati Uniti ha accettato, ma ha lasciato che fosse il suo collega francese a contattare gli altri capi di stato. Evidentemente Trump non è eccessivamente motivato.
Il necessario coordinamento prevede tre diversi aspetti: il primo è sanitario, per contenere una pandemia che colpisce un continente dopo l’altro; il secondo riguarda la ricerca, con gli sforzi degli scienziati per trovare una cura e un vaccino; il terzo, infine, è quello che coinvolge più direttamente il G7 e riguarda l’aspetto economico, con la minaccia di una recessione globale.
Lo spirito di collaborazione che ci fu con la Cina ai tempi della crisi finanziaria del 2008 non esiste più
Non bisogna tergiversare troppo. Prima di tutto perché Donald Trump non ama le soluzioni multilaterali, e in secondo luogo perché dal tavolo mancano ancora alcuni attori di primo piano, a cominciare dalla Cina, il paese che ha dovuto gestire per primo la battaglia contro il coronavirus e che dispone di ricercatori qualificati. Evidentemente la collaborazione di Pechino sarà indispensabile per salvare l’economia mondiale.
Il 15 marzo Lawrence Summers, segretario al tesoro ai tempi di Obama, ha sottolineato il modo in cui la Cina era stata coinvolta nella gestione della crisi finanziaria del 2008-2009. Secondo Summers quello spirito di cooperazione non esiste più, e questo è il principale problema attuale.
La cooperazione non è facile nemmeno tra gli europei, perché la pandemia alimenta la tentazione di chiudersi, per gli individui come per gli stati. L’Italia si è sentita abbandonata quando ha lanciato i primi appelli. Nel frattempo le chiusure unilaterali delle frontiere si moltiplicano, in contraddizione con i trattati europei.
Il 15 marzo abbiamo assistito a un corto circuito comunicativo tra i due paesi che dovrebbero dare l’esempio, Francia e Germania, con l’annuncio a Berlino della chiusura della frontiera con la Francia, subito rettificato precisando che ci sarà semplicemente un rafforzamento dei controlli.
Anche se la sanità non fa parte delle competenze dell’Unione europea, resta il fatto che l’“ognuno per sé” rappresenta un problema per un’istituzione che dovrebbe proteggere i suoi cittadini. L’Unione, ora, ha l’occasione di compattarsi davanti alla colossale sfida economica.
La debolezza nel coordinamento fornisce a tutti i livelli l’immagine di un mondo diviso nonostante la minaccia comune.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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