È arrivato il momento della riapertura in Europa. La Francia si prepara a partire dall’11 maggio, mentre i paesi che l’hanno preceduta nella pandemia – l’Italia e la Spagna, ma anche la Germania, il Belgio, la Danimarca e la Lituania – hanno già avviato il processo di uscita dal blocco, ognuno a modo proprio e con i suoi tempi.

La portata della crisi è talmente vasta – dallo stress dovuto all’epidemia a quello dovuto all’apertura – che inevitabilmente prestiamo poca attenzione a ciò che accade fuori dei nostri confini, e quando lo facciamo è solo per criticare il modo in cui è gestita la situazione nei nostri paesi.

Il problema si ripresenta identico ovunque nonostante l’impatto diverso del virus a seconda del paese: come possiamo allentare l’isolamento senza rilanciare l’epidemia e suscitare la tanto temuta “seconda ondata” che rovinerebbe gli sforzi fatti dagli operatori sanitari e dai cittadini in isolamento?

Imperativi sanitari e rilancio economico
Stessa modalità di chiusura. Stessa necessità di riorganizzare gli spazi per il lavoro, per il trasporto o per lo studio. Stessi tentennamenti di fronte a un virus che per molti aspetti è ancora misterioso.

Ovunque ritroviamo la medesima difficoltà nell’individuare un equilibrio tra gli imperativi sanitari e il rilancio della vita economica e sociale paralizzata. In Germania, dove il tasso di mortalità è stato contenuto, il 45 per cento della popolazione pensa comunque che la ripresa sia troppo rapida, contro appena il 15 per cento che la considera tardiva. In Spagna, dove l’isolamento è stato molto più rigido che in Francia, l’autorizzazione a uscire di casa è stata accolta con prudenza da una popolazione traumatizzata.

I dati scientifici sono gli stessi ovunque, ma le decisioni delle diverse autorità politiche non sempre coincidono

La riapertura delle scuole non è all’ordine del giorno in tutti i paesi. In Italia, dove le classi resteranno chiuse fino a settembre, alcuni si chiedono perché non siano riaperte. Al contrario, in Francia molti criticano la decisione di riaprirle la settimana prossima. La Spagna, dal canto suo, le manterrà chiuse.

In Norvegia, in Danimarca e in Germania le scuole hanno progressivamente riaperto, pur con classi ridotte e mantenendo parte delle lezioni online. I dati scientifici sono gli stessi ovunque, ma le decisioni delle diverse autorità politiche non sempre coincidono.

Due insegnamenti
Lo stesso meccanismo si ripropone a proposito del tracciamento, tecnologia che permette di risalire alle interazioni passate di un soggetto infetto. I tedeschi hanno scelto l’offerta della strana coppia Apple/Google invece di quella locale ancora in fase di perfezionamento, privilegiata dalla Francia. L’equilibrio tra prudenza ed efficacia, evidentemente, è difficile da trovare.

Da questo dibattito possiamo trarre due insegnamenti: il primo riguarda la fiducia, sia nei confronti dello stato sia tra i cittadini. La fiducia è un barometro che in questo periodo di crisi riacquista tutto il suo valore. La Francia si distingue per il suo elevato livello di sfiducia, un sentimento che esisteva già prima della crisi e che alimenta sicuramente maggiori dubbi rispetto a quanto accade in Germania, dove il consenso è molto più forte.

Il secondo insegnamento è che la crisi ha creato la sensazione di una battaglia nazionale, ma la verità è che il fallimento di un paese minaccerebbe tutti i vicini, con o senza la chiusura delle frontiere.

Tuttavia questa realtà innegabile non basta a creare un sentimento europeo di unità, in un momento in cui ne avremmo molto bisogno. In questo senso il virus ha colpito duramente il progetto comunitario pur infliggendo a ognuno le stesse sofferenze e alimentando, in questi giorni, le stesse fragili speranze.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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