È un grande classico dei colpi di stato in Africa: i golpisti promettono solennemente che ristabiliranno al più presto l’ordine costituzionale. Di solito questa promessa si rivela falsa, e i nuovi padroni finiscono per installarsi a lungo. Ma a volte qualcuno mantiene la parola e restituisce il potere ai civili dopo aver rimesso ordine nel paese. È raro, ma succede.
È questo lo scenario che si sta delineando in Mali dopo l’allontanamento del presidente Ibrahim Boubacar Keita? Il 24 agosto il portavoce del consiglio militare al potere a Bamako ha garantito che le decisioni sulla durata della transizione o sulla formazione di un governo saranno prese in accordo con i partiti politici, i sindacati e la società civile.
Sono solo promesse, certo, ma hanno comunque una certa importanza, perché in Mali esistono forze politiche e sociali in grado di chiedere conto e ragione ai golpisti nel caso non rispettassero gli impegni presi. Il colpo di stato non segna la fine della storia in Mali, ma piuttosto l’inizio di una storia nuova, complessa e ancora da scrivere.
Potrà esserci un passo indietro? I vicini del Mali hanno inizialmente chiesto il ritorno di Ibk (come viene chiamato il presidente allontanato) e hanno addirittura imposto una serie di sanzioni al Mali per raggiungere il loro obiettivo. Negli ultimi tre giorni una delegazione dei paesi della regione ha negoziato con i militari per trovare una via d’uscita alla crisi.
Ma la sorte dell’ex presidente sembra ormai decisa, anche perché i delegati africani hanno preso atto delle sue dimissioni e dal consiglio militare hanno ottenuto semplicemente che Keita fosse liberato e gli fosse permesso di farsi curare all’estero.
La richiesta di reinstallare l’ex presidente non è realista nel contesto della forte pressione popolare a cui era sottoposto.
L’assenza dello stato ostacola la lotta contro i gruppi jihadisti che seminano il terrore
In questo senso bisogna notare che la Francia, rimasta defilata dopo il colpo di stato ma comunque presente in Mali con i suoi militari nell’ambito dell’operazione Barkhane, si è ben guardata dal chiedere il ritorno del presidente, che tra l’altro non era tenuto in grande considerazione a Parigi. La Francia si è accontenta di chiedere il ritorno all’ordine costituzionale.
L’ex presidente era chiaramente diventato un ostacolo in un paese in cui l’assenza dello stato ostacola la lotta contro i gruppi jihadisti che seminano il terrore.
Ma davvero i militari al potere sono in grado di offrire una soluzione ai numerosi problemi che affliggono il Mali? Naturalmente no, però hanno sancito la fine di un regime che, per quanto costituzionale, aveva ormai perso qualsiasi legittimità dopo aver ordinato di sparare sui manifestanti a luglio. Alla fine il colpo di stato senza spargimenti di sangue potrebbe permettere di superare la crisi attuale.
Questa è l’analisi proposta dal think-tank internazionale con sede a Bruxelles Crisis group, secondo cui un ritorno indietro sarebbe “dannoso per il paese”. Crisis group invita i maliani e i loro partner stranieri (compresa la Francia) a “cogliere l’occasione per garantire al paese di avviare una vera transizione”. Se sarà così, i militari avranno fatto qualcosa di utile. Non sarà un’opinione “ortodossa”, ma oggi questa possibilità appare reale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Leggi anche
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it