Il presidente francese Emmanuel Macron ha lasciato un paese in collera, il Libano, per raggiungerne un altro, l’Iraq. Se in Libano Macron ha potuto mettersi al centro del gioco politico – perché la storia della Francia nel paese e l’accoglienza della popolazione glielo permettono – a Baghdad le cose vanno diversamente.
Ben più che in Libano, la breve visita del presidente francese in Iraq mette in evidenza la strategia francese in questo Medio Oriente complicato e in piena ricomposizione. L’Iraq si trova al centro di queste trasformazioni strategiche, stretto tra la crescente influenza iraniana e il peso degli Stati Uniti, la cui invasione nel 2003 ha provocato gravi ripercussioni di cui oggi Donald Trump si disinteressa totalmente.
La rabbia dei giovani in Iraq ha diversi punti in comune con quella dei libanesi. I giovani di entrambi i paesi sono stanchi della corruzione, degli sperperi, della mancanza di orizzonti e delle divisioni religiose ed etniche. Tuttavia il contesto è diverso, poiché il paese confina con potenze ambiziose come Iran, Arabia Saudita e Turchia ed è sempre esposto alla minaccia del gruppo Stato islamico (Is).
Un ritorno progressivo
La Francia si offre come contrappeso, o quanto meno come “paese amico” meno ingombrante rispetto agli Stati Uniti. Parigi ha diverse risorse che permettono di rispondere alle attese e di rimettere progressivamente piede in un paese dove in passato è stata molto presente. All’epoca della dittatura di Saddam Hussein, infatti, non mancavano la vendita di armi, lo sfruttamento petrolifero e la corruzione.
Dopo essersi rifiutata di partecipare all’invasione americana, la Francia ha effettuato un ritorno progressivo, da un lato grazie alla sua amicizia storica con i curdi del nord dell’Iraq, dall’altro partecipando attivamente alla lotta contro l’Is. Oggi il governo iracheno vorrebbe stringere legami più forti con Parigi, e non solo a beneficio di minoranze etniche e religiose.
C’è sempre una certa dose di ambiguità nella diplomazia geopolitica francese
È precisamente ciò che ha affermato il presidente Macron, che ha scelto l’Iraq per segnare il “ritorno” della Francia in Medio Oriente. Al di là del Libano, l’Iraq è l’unico paese dove la Francia ha ancora un peso reale, dopo essere, come detto, “uscita dal gioco”.
Oggi la posta in gioco è doppia. Per la Francia si tratta di riallacciarsi a una diplomazia dell’influenza in una regione i cui i ribaltamenti hanno conseguenze che arrivano al cuore dell’Europa. Per un paese come l’Iraq, invece, si tratta di trovare appoggi per sfuggire allo scontro tra Stati Uniti e Iran, anche sul proprio territorio. L’Europa, malgrado tutto, resta uno dei pochi poli di equilibrio nel mondo attuale, capace di rivolgersi a tutti, anche all’Iran.
Tuttavia, come sempre, c’è una certa dose di ambiguità nella diplomazia d’influenza francese, soprattutto quando Parigi decide di legarsi le mani con le vendite di armi usate nella sporca guerra in Yemen o si impegna imprudentemente nella guerra civile libica.
La Francia ha tutto da guadagnare a essere una potenza di equilibrio nel momento in cui in Medio Oriente e altrove si ridefiniscono i rapporti di forza. Per riuscirci servono un chiarimento degli obiettivi e una maggiore trasparenza sui metodi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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