Tanto rumore per nulla. È questa la reazione immediata davanti all’annuncio del nome del nuovo primo ministro del Libano: Saad Hariri, già capo del governo prima di decidere di dimettersi, un anno fa, dopo l’organizzazione delle prime manifestazioni di massa di quella che sarebbe diventata la thawed, la rivoluzione.
Dopo un anno e con una situazione ben più catastrofica, Hariri ha ottenuto un voto risicato in parlamento per cercare di formare un nuovo governo. La notizia è paradossale, nonché un simbolo evidente della paralisi del sistema libanese.
Paradossale perché dopo il fallimento dei candidati dal profilo più tecnico, come chiesto dai finanziatori internazionali, la classe politica è tornata a rivolgersi a una della grandi famiglie dell’élite libanese.
Prigioniero dei giochi politici
Saad è il figlio di Rafiq Hariri, ex primo ministro e imprenditore assassinato nel 2005. Per oltre sei anni Saad ha gestito il Libano, senza riuscire (sempre che ci abbia provato) ad avviare le riforme chieste dalla popolazione, che si parli della crisi dei rifiuti a Beirut, delle interruzioni ripetute della corrente elettrica o della crisi del sistema finanziario che continua ad aggravarsi.
Cosa potrà fare Hariri nel contesto attuale? I libanesi lo avrebbero probabilmente appoggiato se si fosse imposto al di fuori del quadro dei partiti religiosi, ma il rispetto delle forme costituzionali rende il primo ministro prigioniero dei giochi politici mortiferi tra i capi delle comunità.
Hariri ha già indicato i ministeri su base confessionale, e questo intacca la sua credibilità
Il fallimento è dunque scontato? È un timore giustificato, perché in Libano non esiste nessuna delle condizioni necessarie per rompere con il sistema responsabile della catastrofe.
Saad Hariri promette un governo riformista e specialisti “indipendenti”, parole che ricalcano la proposta francese di Emmanuel Macron, condizione per lo sblocco dei finanziamenti internazionali. Ma intanto ha già promesso il ministero delle finanze a un esponente della comunità sciita, come preteso dal presidente del parlamento Nabih Berri. Una decisione che intacca immediatamente la credibilità del primo ministro.
Al momento i libanesi sono interessati soprattutto a ciò che è accaduto in piazza dei Martiri, nel cuore di Beirut, dove la sera del 21 ottobre si sono verificati incidenti tra i sostenitori di Hariri e i suoi critici. La celebre scultura del “pugno della rivoluzione”, di 13 metri d’altezza, è stato incendiata dai seguaci del primo ministro.
Il 22 ottobre è stato installato un nuovo pugno, finanziato da Baha Hariri, fratello (e rivale) del nuovo primo ministro. Queste battaglie interne alla famiglia Hariri sono più significative delle dichiarazioni ufficiali.
Tanto rumore per nulla, dunque. In questo momento non ci sono buoni auspici per i libanesi, che ormai non credono più alla prospettiva di una rivoluzione imminente né tanto meno al miracolo di una riforma spontanea della classe politica.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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