Il primo elemento da sottolineare rispetto alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti è il fenomeno democratico a cui abbiamo assistito. Tra voti per posta, voti anticipati e lunghe file davanti ai seggi di tutto il paese, la partecipazione è stata altissima. Eravamo abituati a veder votare appena un americano su due, ma stavolta siamo più vicini ai due terzi. È un fatto straordinario.
I mezzi d’informazione statunitensi hanno commentato con stupore questo fenomeno, come se si trattasse di una “novità assoluta” o addirittura di una “rinascita”. Sembrava quasi di essere in Sudafrica per le prime elezioni dopo la fine dell’apartheid, dove ogni cittadino non voleva perdere l’occasione di partecipare a un momento importante per la storia del paese.
Tutto questo contrasta enormemente con le tensioni degli ultimi mesi e con una campagna spesso violenta e tossica che faceva temere il peggio. Ancora non è detto che il peggio sia stato scongiurato – la suspense sul risultato finale può riservare brutte sorprese – ma il fenomeno democratico è evidente e va considerato positivo.
Nessun trionfo blu
La prevista ondata democratica non c’è stata. Tra le lezioni politiche del voto, prima ancora di conoscere il nome del vincitore, c’è la constatazione che il “trumpismo” non è morto, e non lo sarà neanche in caso di sconfitta di Donald Trump.
Il voto è stato descritto spesso come un referendum pro o contro Trump. Joe Biden ha basato la sua campagna elettorale sul rifiuto di un uomo ritenuto non all’altezza dell’incarico presidenziale. A questo punto è evidente che la presunta inadeguatezza di Trump (con cui concorda la maggioranza degli europei) non ha provocato il trionfo blu che era stato previsto.
Al di là della demagogia, della volgarità e delle menzogne, e a prescindere dall’esito delle presidenziali, i fondamenti del “trumpismo” non sono scomparsi e non scompariranno: crisi identitaria degli americani bianchi che si sentono minacciati, collera davanti a una globalizzazione che genera disuguaglianza, mancanza di fiducia in un establishment che Joe Biden incarna alla perfezione.
Il trumpismo va oltre la personalità di Trump, ed è questo il problema che abbiamo avuto negli ultimi quattro anni analizzando la situazione negli Stati Uniti. La personalità di Trump è talmente discutibile, caricaturale e spesso estranea ai nostri costumi politici da spingerci a perdere di vista ciò che il presidente ha incarnato fin dalla campagna elettorale del 2016: la sintesi delle diverse collere degli americani. I primi risultati dimostrano che né la gestione catastrofica della pandemia né la crisi economica e sociale hanno alterato questa identificazione.
La stessa rabbia, non dimentichiamolo, si ritrova in tutto il mondo, anche se Trump ha una dimensione americana peculiare. Il “trumpismo oltre Trump” riecheggia in Europa e altrove, nell’avanzata populista e nelle tentazioni “illiberali”.
Gli Stati Uniti ci offrono dunque uno specchio deformante del mondo, tra rigurgiti democratici e rabbia diffusa. Resta da capire chi sarà il prossimo presidente. La scelta, inevitabilmente, condizionerà il mondo in cui viviamo, in meglio o in peggio.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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