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Putin è di nuovo padrone del gioco nel Caucaso

Una base militare russa a Erevan, Armenia, 18 novembre 2020. (Alexander Ryumin, Tass/Getty Images)

Non abbiamo ancora finito di analizzare le conseguenze della guerra che per sei settimane ha visto scontrarsi gli eserciti di Azerbaigian e Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh, un’enclave popolata dagli armeni. A questo punto è evidente chi abbia perso, ovvero l’Armenia. Il vero vincitore, però, non è uno dei belligeranti, ma Vladimir Putin, riuscito a imporre la fine delle ostilità, un accordo per il cessate il fuoco e la presenza delle sue truppe per farlo rispettare.

La sera del 17 novembre il presidente russo è apparso in tv ricoprendo il ruolo del pacificatore, esprimendo giudizi e presentandosi come arbitro sereno e disteso. Putin, insomma, ha fatto capire di essere il padrone del gioco.

Agli armeni che protestano contro il “tradimento” del primo ministro che ha accettato il cessate il fuoco, Putin ha detto chiaramente che ritirarsi dall’accordo sarebbe un “suicidio”. Agli azeri, invece, il presidente russo ha riconosciuto il diritto di scegliere i propri alleati, un riferimento alla Turchia, che tra l’altro Putin ha scagionato dall’accusa di aver violato il diritto internazionale.

Sisma geopolitico
I commenti quasi distaccati di Putin contrastano con il dramma umano generato da questo breve conflitto e con il sisma geopolitico che ha colpito la regione del Caucaso meridionale.

Durante la guerra il ruolo di Putin non era stato così chiaro, tanto che qualcuno ne aveva sottolineato la passività, il silenzio davanti all’ingerenza della Turchia e la flemma con cui aveva lasciato che l’Armenia fosse schiacciata da un esercito più moderno.

Il politologo Olivier Roy ha presentato un’analisi della situazione sulle pagine del quotidiano Le Monde, sottolineando che l’Armenia si è illusa pensando che la Russia avrebbe agito come difensore della cristianità davanti all’islam: “Ragionare in questo modo significa non capire la visione russa, basata soprattutto su una realpolitik dei rapporti di forza e su una concezione propriamente russa e molto poco ‘occidentale’ (e ancor meno cristiana) della geostrategia”.

Putin si trova in una posizione ideale, ma ha anche ereditato il problema politico irrisolto tra i due paesi

Roy ha aggiunto che la Russia vuole riconquistare la sua zona d’influenza, e che in quest’ottica “i musulmani non rappresentano un ostacolo, ma piuttosto una risorsa tra le altre”. È per questo che l’Armenia ha sbagliato a credere che Mosca si sarebbe intromessa nel conflitto.

Oggi Putin si trova in una posizione ideale, ma comunque difficile. Il Cremlino ha permesso che l’Azerbaigian ottenesse una vittoria riconquistando territori perduti trent’anni fa, ed è intervenuto appena in tempo per evitare che l’Armenia perdesse tutto. È stato un atto di forza. Nessuno avrebbe potuto fare lo stesso, e in questo modo la Russia ha tenuto a distanza la Turchia e fuori dal gioco gli occidentali.

Ma ora Putin ha ereditato il problema politico irrisolto tra i due paesi. Bisognerà applicare l’accordo, con il ritorno dei territori conquistati sotto il controllo dell’Azerbaigian. Soprattutto il problema di ciò che resta dell’enclave del Nagorno Karabakh non è stato risolto. Senza una soluzione, la miccia è destinata a riaccendersi, stavolta con truppe russe sul campo.

Per gli europei, in mancanza di una politica estera comune coerente (a cominciare dalla Francia, copresidente del gruppo di Minsk che doveva negoziare una soluzione politica) si tratta di una lezione di umiltà. Ancora una volta Putin si è rivelato un abile stratega, freddo e calcolatore. Chi lo sottovaluta di solito ne paga le conseguenze.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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