Le immagini che ritraggono il presidente francese Emmanuel Macron tra le strade distrutte di Beirut, a 48 ore dall’esplosione che il 4 agosto aveva devastato il porto della capitale libanese, oggi sembrano molto lontane. In quell’occasione il presidente si era impegnato con la popolazione a sostenere un “patto nazionale” rinnovato, riconoscendo il dissenso espresso dai libanesi per la loro classe dirigente.
Tre mesi dopo, il Libano è ancora completamente bloccato. L’iniziativa con cui Macron si è impegnato personalmente non ha prodotto alcun risultato, al punto che il presidente francese, in una lettera indirizzata in settimana al suo collega libanese Michel Aoun, ha messo in chiaro che allo stato attuale la comunità internazionale non può aiutare il Libano, ormai allo stremo.
Il 26 novembre l’Eliseo ha annunciato una riunione in videoconferenza per il 2 dicembre, con l’obiettivo di stanziare un aiuto umanitario per il Libano. Ma i miliardi di euro di aiuti strutturali restano condizionati alla realizzazione di riforme profonde che il Libano non sembra in grado di avviare.
Dramma silenzioso
Macron sembra impotente davanti all’ostruzionismo prolungato della classe politica libanese rispetto a qualsiasi riforma che possa intaccarne i privilegi.
Il primo ostacolo è la mancanza di un governo. Ormai da mesi una squadra di tecnici si occupa dell’amministrazione basilare dello stato. Il primo ministro incaricato, Saad Hariri, lo stesso che si era dimesso un anno fa a causa della pressione della piazza, non riesce a ottenere un consenso.
Ma c’è di peggio. Tra le condizioni per lo sblocco degli aiuti essenziali c’era la richiesta di un audit della banca centrale e delle grandi istituzioni devastate dalla corruzione. Questo punto faceva parte del programma accettato dai politici incontrati da Macron.
L’audit, però, si è rivelato impossibile, tanto che la commissione internazionale che avrebbe dovuto occuparsene ha gettato la spugna e ha lasciato il Libano perché non riusciva a ottenere i documenti richiesti.
Il dramma libanese si svolge ormai in silenzio. La povertà si è abbattuta su oltre la metà della popolazione. Chi ne ha i mezzi, lascia il paese per scappare da una situazione disperata. Chi resta si arrangia come può.
Il 26 novembre un articolo pubblicato dal quotidiano francofono L’Orient-le-Jour ha descritto bene uno dei grandi paradossi del paese: i libanesi sono convinti da sempre di essere al centro delle preoccupazioni del mondo. “Questa visione del ruolo del paese dei cedri nel grande scacchiere geopolitico potrebbe far sorridere, se non fosse in totale contraddizione con una realtà sconfortante: ormai il Libano non interessa quasi a nessuno”, scrive Anthony Samrani, aggiungendo che ai libanesi resta solo la Francia, ma a una condizione: le famose riforme.
Forse Macron è stato troppo ottimista quando ha pensato di poter smuovere una situazione stagnante? Oggi il presidente assiste inerme al naufragio della classe politica libanese, che preferisce lasciar affondare il paese piuttosto che fare un sacrificio.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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