La pandemia, ormai lo sappiamo, ha rivelato la debolezza dell’Europa nei settori chiave. Serviranno anni e grandi investimenti per rimediare. Tuttavia il doppio trauma dell’ultimo anno, sanitario e geopolitico, ha avuto almeno un risultato positivo: un risveglio dell’Europa con una presa di coscienza delle proprie debolezze. In tutte le interviste dei leader europei è stata ribadita la necessità di non essere più “ingenui”, e non fa eccezione quella concessa dal commissario europeo Thierry Breton al quotidiano economico francese Les Echos.

Responsabile della politica industriale dell’Ue, Breton si è lanciato all’assalto di una delle principali debolezze europee: la fabbricazione di semiconduttori, minuscoli prodotti di silicio che troviamo ormai ovunque. Da diverse settimane si registra una penuria di semiconduttori sul mercato mondiale, e questo ha costretto a interrompere l’attività alcune fabbriche di automobili e perfino impianti per la produzione di tostapane. Non chiedetemi perché i tostapane contengano semiconduttori, ma è così.

“Nell’industria dei semiconduttori”, constata Breton, “l’Europa si è lasciata distanziare. La mancanza d’investimenti ha causato un ritardo”. Lo stesso verdetto potrebbe applicarsi a molte altre filiere tecnologiche, ed è il segno di un altro decennio perduto, accecato dai miracoli delle catene di approvvigionamento basate sul principio del just in time (l’opposto dell’accumulo di scorte).

Ambizioni fuori portata
La produzione di semiconduttori si effettua principalmente in Asia, e in particolare a Taiwan. È una delle particolarità del settore. Taiwan e soprattutto l’azienda Tsmc detengono un quasi monopolio sui semiconduttori di alta gamma. L’azienda statunitense Intel, dominante fino a dieci anni fa, è stata soppiantata. Oggi Tsmc produce l’80 per cento dei semiconduttori più sofisticati e si prepara a commercializzare semiconduttori di 3 se non addirittura 2 nanometri , l’unità di misura del settore che corrisponde allo spessore di un capello. A parte la Corea del Sud nessuno riesce a tenere il passo, neanche la Cina che oggi è priva dell’accesso all’industria a causa delle sanzioni americane.

Questa è la sfida che Breton ha appena raccolto per l’Europa. È una sfida ambiziosa e senza dubbio fuori portata nei prossimi dieci anni, perché gli investimenti necessari sono colossali.

L’Europa ha i mezzi per competere? La sola Tsmc si prepara a investire cento miliardi di dollari nel corso dei prossimi tre anni, mentre l’Europa può mettere sul piatto solo una decina di miliardi, più altrettanti di contributi da parte degli industriali. Troppo poco per ridurre il ritardo.

Donald Trump aveva forzato la mano di Tsmc per costruire una fabbrica in Arizona, con un investimento di 12 miliardi di dollari. Breton vorrebbe convincere i taiwanesi a investire anche in Europa, ma il 28 aprile ha ricevuto un rifiuto: Tsmc vuole mantenere l’essenziale della produzione a Taiwan, isola rivendicata da Pechino per cui i semiconduttori sono la prima risorsa nazionale.

L’Europa può portare alcuni argomenti, tra cui le imprese come la franco-italiana StMicroelectronics e altre aziende coinvolte nel piano che il commissario lancerà il 5 maggio per raddoppiare la capacità produttiva del continente. È l’ultima occasione per ottenere una sovranità tecnologica in questo settore chiave, e di conseguenza la sovranità generale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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