Mosca finisce al centro della crisi bielorussa
La crisi nata dal dirottamento di un aereo di linea europeo, voluto dal regime bielorusso, si sta trasformando in un momento della verità per la Russia.
È paradossale, perché finora nulla ha lasciato presumere la partecipazione di Mosca all’atto di pirateria commesso dal regime di Aleksandr Lukašenko. Ma resta il fatto che la Russia ha deciso di coprire la mossa del presidente bielorusso e di incolpare gli occidentali per la crisi.
Lukašenko è atteso il 28 maggio a Mosca, ultimo appiglio del dittatore ora che l’Unione europea ha deciso di imporre le prime vere sanzioni alla Bielorussia, chiudendo anche lo spazio aereo dell’Ue ai voli bielorussi. Gli unici voli ad attraversare ancora i cieli della Bielorussia sono, significativamente, di compagnie russe, cinesi e turche.
Pagare le conseguenze
I rapporti tra la Bielorussia e la Russia non sono mai stati scorrevoli, e spesso il Cremlino è stato irritato dall’autocrate che era già al potere a Minsk prima dell’avvento di Putin a Mosca. Ma dopo le elezioni contestate dell’agosto 2020 Lukašenko lotta per la sopravvivenza, e la sua sorte dipende dalla Russia.
Putin tiene molto alla sua barriera protettiva attorno alla Russia, e la Bielorussia occupa un posto privilegiato in questo contesto. Di sicuro a Putin non dispiace che Lukašenko, fino a ieri bramoso di autonomia, sia ormai vincolato a Mosca. Ma questa dipendenza ha un costo. Putin dovrà pagare le conseguenze dell’atto di pirateria del suo alleato se vuole tenere in sella un regime amico a Minsk. Senza il sostegno del Cremlino, infatti, Lukašenko si troverebbe in una posizione ben più scomoda.
L’incontro di giugno tra Putin e Biden adesso assume un’importanza considerevole
La scelta è evidentemente strategica, perché la reazione europea al dirottamento e all’arresto del giornalista Roman Protasevič e della sua compagna Sofia Sapega va ben oltre le condanne rituali. La vicenda è diventata un test della credibilità dell’Unione, e la Russia fa ormai parte dell’equazione.
L’Unione europea, intanto, è sempre alla ricerca della strategia migliore per affrontare Putin. A febbraio abbiamo assistito all’umiliazione dell’alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell a Mosca, che ha messo in grande imbarazzo i 27.
I capi di stato e di governo si sono dati appuntamento a giugno per discutere una strategia russa. Prima di allora, il 16 giugno a Ginevra, si terrà il primo vertice tra Joe Biden e Vladimir Putin, che a questo punto assume un’importanza considerevole perché darà il tono alle relazioni tra est e ovest, come si diceva all’epoca della guerra fredda.
C’è ancora qualcuno che sogna di poter allontanare la Russia dalla Cina e riavvicinarla all’Europa, un tema di cui il capo della diplomazia francese Jean-Yves Le Drian ha parlato in un’intervista concessa alla rivista L’Express. Forse Biden coltiva la stessa ambizione, in modo da avere le mani libere nella sua rivalità con la Cina? In realtà si tratta di uno scenario poco verosimile considerando che Pechino e Mosca continuano a rafforzare la loro relazione strategica.
A prescindere da queste considerazioni, se Putin volesse calmare le acque imporrebbe al suo “amico” Lukašenko la liberazione dell’ostaggio. La prossima mossa tocca al Cremlino.
(Traduzione di Andrea Sparacino)