Non passa giorno senza la notizia di un attacco informatico o di un’operazione di ciberspionaggio in qualche angolo del mondo. Questo nuovo campo di battaglia, molto meno virtuale di quanto si pensi, è ancora circondato da incognite, a cominciare dalla valutazione della potenza degli stati.
Per la prima volta uno studio approfondito ci aiuta a vedere più chiaro. Per due anni l’International Institute for Strategic Studies (Iiss), con sede a Londra, ha studiato i mezzi, le strategie e gli ambienti formativi, scientifici e militari degli stati per stilare una classifica mondiale della ciberguerra.
L’istituto ha diviso i principali quindici protagonisti di questo nuovo campo della conflittualità in tre categorie, con una sorpresa: soltanto uno rientra nella prima categoria, e non è né la Cina né la Russia, i soliti sospetti ogni volta che si parla di un’operazione cibernetica. Il paese più avanzato sono gli Stati Uniti, che secondo lo studio hanno circa 10 anni di vantaggio sulla Cina.
Se gli Stati Uniti sono gli unici a riempire tutte le caselle della prima categoria, nella seconda troviamo la Cina, la Russia ma anche la Francia, unico paese dell’Unione europea a figurare nella lista. Dell’elenco fa parte anche Israele, il più piccolo dei paesi di questo gruppo ma di cui sono ben note le capacità cibernetiche, che il governo non esita a utilizzare soprattutto contro l’Iran.
Rivalità e capacità tecnologiche
Teheran rientra nella terza categoria, dunque distante dalla vetta. Gli altri paesi che ne fanno parte si trovano tutti in Asia: Giappone, India, Corea del Nord, Vietnam, Indonesia e Malesia.
In questa classifica troviamo lo stato del mondo e della rivalità tra i paesi che hanno naturalmente le capacità tecnologiche e militari per dominare questo nuovo settore e quelli che non hanno i mezzi ma hanno operato una scelta strategica. L’esempio migliore è quello della Corea del Nord, poco digitalizzata ed economicamente in ritardo, ma che nel nucleare e nel campo cibernetico ha sviluppato capacità che vanno ben oltre i suoi mezzi. Ma alla capacità non corrisponde necessariamente l’uso. Gli Stati Uniti sono i più avanzati, ma non automaticamente i più attivi su un piano offensivo, anche se sappiamo che hanno condotto azioni contro l’Iran o la Corea del Nord.
La dissuasione si basa sulla possibilità di infliggere all’avversario un danno commisurato a quello subìto
Questo studio dimostra che quando Joe Biden, in occasione del suo recente incontro con Vladimir Putin, ha intimato al presidente russo di non condurre attacchi informatici contro obiettivi sensibili statunitensi pena ritorsioni, lo ha fatto avendo i mezzi per mettere in atto le sue minacce.
La dissuasione si basa sulla possibilità di infliggere all’avversario un danno commisurato a quello subìto. È quello che in epoca nucleare si chiamava “equilibrio del terrore”, quando americani e sovietici avevano ciascuno la possibilità di distruggere l’altro.
Nell’universo cibernetico non siamo ancora arrivati a quel punto, ma era importante poter valutare correttamente le capacità degli attori di questo nuovo campo per sperare, un giorno, di stabilire regole del gioco come accade per gli altri tipi di armamenti. Questo studio dell’Iiss, assegnando un vantaggio agli statunitensi, contribuisce senz’altro a placare gli ardori degli avversari di Washington.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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