A luglio, quando aveva sospeso la costituzione e assunto pieni poteri per un mese, il presidente tunisino Kais Saied aveva risposto a chi parlava di colpo di stato citando una frase celebre del generale de Gaulle: “Non è a quest’età che comincerò una carriera di dittatore”.
Quasi due mesi dopo, però, Saied si è concesso poteri ancora più vasti, avviando una presidenzializzazione totale del sistema, senza alcun contrappeso istituzionale. Ancora una volta una parte dell’opposizione grida al colpo di stato, anche se la manovra va avanti per decreti e non con i carri armati per le strade di Tunisi.
Senza dirlo, il presidente tunisino ha chiuso la pagina della seconda repubblica tunisina, partorita dalla rivoluzione del 2011 e legittimata nella costituzione adottata nel 2014. All’epoca la nuova carta costituzionale era stata elogiata per i suoi progressi democratici e per il rispetto dei diritti delle donne, e di conseguenza era stata considerata la più avanzata del mondo arabo.
Un paese senza istituzioni
La stessa costituzione, proprio per evitare le derive del potere personale, aveva creato un ibrido tra il regime parlamentare e quello presidenziale, che però ha provocato una paralisi del sistema. Saied è intervenuto a luglio dicendo di voler mettere fine allo stallo, sostenuto da una parte della popolazione sfiancata da sterili rivalità politiche.
Il problema è che il presidente ha preso impegni che sta ignorando uno dopo l’altro. I pieni poteri dovevano durare un mese, ma ne sono già passati due. Saied avrebbe dovuto nominare un primo ministro, ma non l’ha ancora fatto (e ormai, anche se lo facesse, l’incarico sarebbe comunque svuotato di ogni potere dai decreti presidenziali). In passato la legittimità politica era garantita dal parlamento, ma oggi non esiste più un parlamento, come non esiste una corte suprema.
Il paese comincia a spazientirsi. Di sicuro Saied vuole cancellare il sistema dei partiti
Questi strappi all’ordine costituzionale sono evidentemente colpi alla democrazia, anche se Saied non può ancora essere definito un dittatore in senso stretto.
Non è ancora chiaro dove porterà questo percorso, anche perché il presidente tunisino non è molto incline a rivelare le sue intenzioni. Il paese, intanto, comincia a spazientirsi.
Di sicuro Saied vuole cancellare il sistema dei partiti, che non ha funzionato nell’ultimo decennio, e si è avviato verso un presidenzialismo assoluto. Ma il confine tra un presidente onnipotente e un ritorno all’autoritarismo imposto in passato ai tunisini è particolarmente sottile.
Il presidente rischia di spingere alla radicalizzazione i suoi avversari che non apprezzano la piega che hanno preso gli eventi, come i sindacati dell’Ugtt, protagonisti della vita sociale e politica tunisina, o gli islamisti di Ennahda, che potrebbero recuperare consensi criticando le derive dittatoriali.
Saied, 63 anni, forse non ha l’animo di un dittatore, ma si sta liberando un po’ troppo facilmente dei contropoteri che caratterizzano una democrazia. E ora anche le persone che a luglio avevano apprezzato la sua iniziativa cominciano a farsi delle domande.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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