Il sistema politico tedesco è fatto in modo tale che la sera delle elezioni non si ha la certezza di chi governerà il paese. In Germania è impossibile vedere apparire sugli schermi, come accade invece in Francia alla fine di un secondo turno, il volto del prossimo cancelliere, soprattutto con una votazione serrata come in questo caso. Il socialdemocratico Olaf Scholz risulta in testa, ma serviranno settimane, forse mesi prima di trovare un accordo di coalizione.
A dirla tutta le previsioni sono diventate impossibili solo quando Angela Merkel ha deciso di non ricandidarsi dopo 16 anni al potere. Le elezioni precedenti, infatti, avevano avuto pochissima suspense, tanto la cancelliera uscente dominava la scena politica. La Germania, dunque, cambia epoca, a prescindere dal nome del prossimo capo del governo.
Il voto, seguito da vicino in tutto il mondo a causa del peso internazionale della Germania, ci offre comunque diversi insegnamenti. Il primo riguarda la stabilità del sistema. Certo, i grandi partiti di governo (l’alleanza conservatrice Cdu-Csu e il socialdemocratico Spd) non raggiungono più le percentuali di un tempo, ma si aggiudicano comunque la metà dell’elettorato tedesco, laddove i loro colleghi in Francia conquistano appena un voto su cinque. Quantomeno si tratta della prova di un minore disincanto politico rispetto ad altri paesi.
Ruoli invertiti
La sorpresa è arrivata dal ritorno in forze dei socialdemocratici. In primavera nessuno avrebbe scommesso sull’Spd, la cui candidatura alla cancelleria era considerata una missione suicida. I verdi sembravano dover incarnare la nuova forza capace di soppiantare il vecchio partito di sinistra. Ma alla fine i ruoli si sono invertiti.
Esiste una contraddizione tra una campagna elettorale sempre più presidenziale e un sistema che resta parlamentare
La ragione di questo fenomeno, più che alla forza di attrazione della socialdemocrazia, è dovuta alla personalizzazione sempre più netta della vita politica della Germania (e non solo). La spettacolare rimonta dell’Spd, dieci punti percentuali in poche settimane, è dovuta all’immagine positiva di Olaf Scholz, vicecancelliere e ministro delle finanze di Angela Merkel, e alla sua campagna coinvolgente incarnata dal manifesto in cui prometteva di poter diventare “una buona cancelliera” (al femminile).
Scholz ha approfittato della mancanza di dinamismo del candidato conservatore Ermin Laschet nonché delle gaffe e delle esitazioni dell’ecologista Annalena Baerbock. Ma questa personalizzazione non avrà alcun impatto sull’esito delle trattative per formare la prossima coalizione. Esiste, evidentemente, una contraddizione tra una campagna elettorale sempre più presidenziale e un sistema che resta parlamentare.
La Germania cambia epoca, ma è un cambiamento alla tedesca, ovvero senza una rottura radicale. Un funzionario dell’Spd, interrogato recentemente sulla politica estera del suo partito, è scoppiato a ridere sottolineando che nonostante la campagna elettorale non esistevano grandi differenze tra i due partiti principali.
A seconda di quali saranno i contorni della prossima coalizione potrebbero esserci sfumature diverse: in merito all’ortodossia finanziaria in Europa se dovessero essere inclusi i liberali o sul rapporto con la Russia o con la Cina se i verdi dovessero ottenere il ministero degli esteri. Ma l’impegno europeo resterà comunque al centro della politica tedesca, come hanno dimostrato Laschet e Scholz visitando l’Eliseo in piena campagna elettorale.
Ad Angela Merkel è stato spesso rimproverato il suo immobilismo, che le ha permesso di gestire le crisi ma non di percorrere la via delle riforme. Il prossimo cancelliere sarà più audace, pur rispettando i codici della politica tedesca? Questo è l’interrogativo fondamentale. Per la risposta bisognerà aspettare mesi. Di sicuro ne varrà la pena, perché ci riguarda tutti.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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