L’elemento straordinario nella vicenda di Peng Shuai non è il destino della campionessa cinese, ma le reazioni internazionali.

La giocatrice di tennis ha inizialmente subìto la sorte che in Cina tocca a chi infrange un tabù e che puntualmente “sparisce” nella macchina repressiva. Nel migliore dei casi queste persone ricompaiono dopo qualche mese, come nel caso del fondatore di Alibaba Jack Ma o della star del cinema Fang Bing Bing, accusata di frode fiscale e liberata solo dopo il pagamento di una grossa cifra e un ringraziamento rivolto a Xi Jinping.

Peng Shuai aveva accusato di stupro Zhang Gaoli, ex vicepremier ma soprattutto esponente del Comitato permanente dell’ufficio politico del Partito comunista durante il primo mandato di Xi Jinping. A dare fastidio, in Cina, è stata la denuncia, non lo stupro. I sette componenti del Comitato, tutti uomini, sono infatti considerati intoccabili. Possono cadere in conseguenza di una lotta tra clan, ma non certo a causa della pressione da parte di una giocatrice di tennis.

Sottovalutazione
La macchina repressiva ha imposto la punizione abituale: Peng Shuai è scomparsa, le tracce della denuncia sono sparite da internet e il suo ritratto è stato cancellato dalla galleria dei campioni cinesi. Ma il regime non aveva previsto la reazione internazionale.

Il Partito, infatti, non aveva tenuto conto del fatto che il crimine denunciato da Peng Shuai si iscrive nel movimento mondiale del #MeToo. Inoltre, laddove nessuno può identificarsi con una star accusata di frode fiscale o con un miliardario poco gradito, tutti possono solidarizzare con una sportiva vittima di abusi sessuali.

Colta di sorpresa, la Cina si è trovata più sensibile di quanto potesse prevedere a questa campagna

Il secondo elemento sottovalutato da Pechino è la solidarietà senza precedenti degli sportivi di tutto il mondo, da Serena Williams a Naomi Osaka, nonché la reazione delle prime pagine dei quotidiani sportivi come l’Équipe in Francia e soprattutto quella dell’Associazione mondiale del tennis femminile (Wta), che ha accettato il rischio di restare esclusa dal lucrativo mercato cinese.

La Cina è stata presa di sorpresa e si è svegliata più sensibile a questa campagna di quanto si potesse prevedere. Dopo la pubblicazione di foto e video evidentemente messi in scena, il 21 novembre il regime ha permesso una videochiamata tra Peng Shuai e il presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach, che si è prestato a un esercizio che avrebbe dovuto chiudere il dibattito. La tennista ha chiesto a Bach di rispettare la sua vita privata.

Chiaramente Peng Shuai è sorvegliata durante le sue apparizioni, e la Cina ama le confessioni televisive e d’altro genere. Il suo “ritorno”, tra l’altro, sarebbe più credibile se la vicenda non subisse una censura totale in Cina e se le foto e i video non fossero destinati unicamente all’estero. Pechino vuole salvare la sua immagine un po’ ammaccata e soprattutto i giochi olimpici invernali previsti tra meno di tre mesi, che nel contesto attuale rischiano seriamente di essere boicottai degli occidentali.

Il problema è che il danno ormai è fatto. La vicenda ha evidenziato l’arbitrarietà del sistema repressivo e il tabù persistente in merito agli abusi sessuali compiuti da individui potenti. Su internet si parla di “effetto Streisand”, dal nome dell’attrice che volendo nascondere un’informazione ha finito per portarla sotto la luce dei riflettori.

Pechino dovrà faticare ancora molto per far dimenticare una vicenda che mette in discussione quell’esemplarità che il regime sostiene di incarnare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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