L’audace visita dei leader euroscettici porta a Kiev il sostegno dell’Ue
La visita del 15 marzo dei primi ministri di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia nella capitale ucraina, che rischia di essere accerchiata dall’esercito russo, evidenzia una certa maestria e audacia. Ma l’evento invia anche una serie di messaggi politici che fino a poco tempo fa sarebbero stati impossibili.
I tre leader dell’Europa centrale si sono recati a Kiev per esprimere al presidente ucraino Zelenskyj il sostegno dell’Unione europea, anche se non hanno un “mandato” ufficiale. La visita è stata organizzata in segreto dopo il vertice di Versailles della fine della scorsa settimana, ed è stata coordinata con Bruxelles.
Si tratta chiaramente di un gesto politico forte, all’indomani di un vertice che per qualcuno è stato deludente ma che ha comunque affermato chiaramente l’appartenenza dell’Ucraina alla “famiglia europea”. Alcuni leader temono che la visita a Kiev crei attese che l’Unione non può soddisfare, ma nel mezzo di una guerra asimmetrica si tratta comunque di un importante sostegno morale a una nazione aggredita dal secondo esercito del mondo.
Due dei tre paesi coinvolti, Polonia e Repubblica Ceca, hanno fatto parte del patto di Varsavia, l’alleanza militare del campo sovietico, mentre oggi sono membri della Nato e dell’Unione europea. Il messaggio inviato a Mosca da questi ex vassalli dell’Urss è chiaro: quel mondo appartiene al passato.
Sono gli ex paesi comunisti a essersi diretti verso ovest, non l’inverso
La storia postcomunista di questi tre paesi rispecchia ciò che è accaduto dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989. Václav Havel, il primo presidente della Cecoslovacchia democratica, aveva sperato nella dissoluzione delle due alleanze, il patto di Varsavia a est e la Nato a ovest, ma presto aveva cambiato idea spinto dal bisogno di sicurezza dei paesi che erano stati occupati dall’Urss (o che nel caso della Slovenia avevano fatto parte della Jugoslavia).
Tutti questi paesi hanno bussato alla porta della Nato prima ancora di percorrere la strada dell’adesione all’Unione europea. È un aspetto che spesso dimentichiamo in questo dibattito sulla presunta promessa fatta dagli americani a Gorbačëv di non spingere la Nato verso est: sono gli ex paesi comunisti a essersi diretti verso ovest, non l’inverso.
Il secondo paradosso evidenziato da questa tripla visita a Kiev è che i paesi in questione hanno vissuto derive populiste che spesso li hanno spinti in rotta di collisione con l’integrazione europea. Eppure sono loro, oggi, a farsi portatori del messaggio europeo in Ucraina, partecipando alla spinta unitaria emersa dopo l’inizio della crisi.
Polonia e Repubblica Ceca facevano inizialmente parte del gruppo di Visegrád, diventato con il passare del tempo una lobby euroscettica. C’è un altro paese di Visegrád che non è presente a Kiev: l’Ungheria di Viktor Orbán, vicino a Putin fino allo scorso gennaio e autore di un’inversione di rotta per allinearsi al blocco occidentale (senza però spingersi troppo oltre).
Questa rivoluzione non risolve tutti i problemi, a cominciare da quelli dello stato di diritto in Polonia, indebolito dall’attuale governo. Ma la guerra scatenata da Putin ha trasformato il paesaggio europeo a lungo termine. Nel linguaggio politico polacco Bruxelles era presentata spesso come la nuova Mosca. Ma questo accadeva prima che la vera Mosca inviasse i carri armati in Ucraina.
(Traduzione di Andrea Sparacino)