C’è una doppia escalation in corso in Ucraina. Da un lato quella a cui assistiamo da alcuni giorni, con i crimini di guerra commessi contro i civili nei pressi di Kiev, nell’assedio di Mariupol o con il bombardamento della stazione di Kramatorsk. Questo processo rischia di aggravarsi con l’offensiva annunciata delle forze russe in Donbass.

Poi c’è quella politico-militare che trasforma questa guerra in un confronto tra un blocco occidentale ricostituito e la Russia, il cui obiettivo è quello di cambiare l’ordine internazionale modificando i rapporti di forza emersi alla fine della guerra fredda, ormai trent’anni fa.

Da una parte e dall’altra, senza arrivare allo scontro diretto che nessuno vorrebbe mai, il conflitto si trasforma in una battaglia per il potere che va oltre il destino del Donbass e anche dell’Ucraina. Le esitazioni iniziali cedono il passo a impegni diretti, con il rischio di non poterne controllare l’evoluzione.

Armi e promesse politiche
I segnali di escalation sono numerosi. Sul fronte occidentale i tentennamenti davanti alla possibilità di fornire armi pesanti all’Ucraina stanno sparendo uno dopo l’altro. Il 9 aprile il primo ministro britannico Boris Johnson ha visitato Kiev, dove ha promesso di consegnare armi che in precedenza erano state tabù, a cominciare dai missili antinavi che serviranno per la difesa del porto di Odessa.

La Slovacchia, paese della Nato, ha fornito all’Ucraina il suo sistema di missili antiaerei S-300 di fabbricazione russa, mentre gli Stati Uniti hanno spedito batterie di missili Patriot. La logica di questo trasferimento è che è difficile addestrare gli ucraini all’uso di nuove armi in piena guerra. Gli S-300 non sono la no-fly zone chiesta da Kiev, ma quantomeno rinforzano la capacità di difesa ucraina.

A Washington, Parigi o Bruxelles non si parla di “guerra” contro la Russia, ma al Cremlino l’aria è diversa

Sul piano politico l’impegno è salito di livello con la visita a Kiev, poco prima di quella di Boris Johnson, della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del capo della diplomazia europea Josep Borrell. I due leader hanno annunciato un esame accelerato della candidatura dell’Ucraina all’adesione all’Unione europea, dopo che la prima richiesta del presidente Zelenskyj era stata accolta con un silenzio imbarazzato.

Sul fronte russo Vladimir Putin aveva inizialmente tentato di dissuadere gli occidentali agitando la minaccia nucleare, ma non ha funzionato. Le consegne di armi occidentali hanno contribuito al fallimento della manovra dell’esercito russo intorno a Kiev.

Mosca, in ogni caso, non arretra. A Washington, Parigi o Bruxelles non si parla di “guerra” contro la Russia, ma al Cremlino l’aria è diversa. Una delle voci autorevoli del regime russo, Sergej Karaganov, ex consulente del Cremlino e tra i fautori della “dottrina Putin” sulle minoranze russofone che vivono al confine con la Russia, ha concesso un’intervista al quotidiano italiano Il Corriere della Sera in cui dichiara: “Siamo in guerra con l’occidente. L’ordine di sicurezza europeo è illegittimo”. Karaganov ha minacciato di attaccare i paesi della Nato se continueranno ad armare l’Ucraina.

Gli occidentali non hanno alcuna intenzione di entrare in guerra con la Russia, ma nei fatti lo sono già, almeno indirettamente. Vladimir Putin ha lanciato la sfida e ha trascinato l’intera società russa in una battaglia contro il nemico occidentale, provocando un’escalation che sembra sempre meno controllabile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it