Ucraini benvenuti, gli altri verso il Ruanda. È un riassunto un po’ brutale, ma non lontano dalla realtà. Il 14 aprile il primo ministro britannico Boris Johnson ha annunciato la sua nuova politica per la lotta contro l’immigrazione clandestina, che prevede l’invio nel paese dell’Africa centrale di tutti i clandestini che cercheranno di attraversare la Manica.

Non si tratta di delocalizzare il filtraggio amministrativo dei richiedenti asilo, come fanno anche altri paesi. Il piano di Londra prevede l’invio di queste persone in fuga dalla guerra o dalla miseria verso un paese in cui dovrebbero rifarsi una vita. Secondo Johnson il procedimento coinvolgerebbe decine di migliaia di persone. Nel 2021 le autorità britanniche hanno individuato 26mila senza documenti.

L’annuncio del governo di Londra è costruito come i volantini pubblicitari che vendono un sogno: “Le persone la cui richiesta sarà accettata dal Ruanda saranno aiutate a costruirsi una nuova vita in una delle economie dalla crescita più rapida al mondo, riconosciuta al livello mondiale per i suoi successi in materia di accoglienza e integrazione dei migranti”.

Appoggio e sorpresa
Il 14 aprile la ministra dell’interno britannica Priti Patel ha firmato un accordo con il governo del Ruanda, rimasto segreto. Al momento sappiamo solo che il paese africano riceverà inizialmente 145 milioni di euro.

Nel Regno Unito le reazioni sono sbigottite. Le associazioni che si occupano di aiutare i profughi parlano di “fallimento morale” e “barbarie”, mentre l’opposizione ha criticato aspramente il progetto. Tuttavia un sondaggio indica che la maggioranza degli elettori conservatori approva l’iniziativa, e questa è l’unica cosa che conta per Johnson, in difficoltà dopo il “partygate”, lo scandalo delle sue serate illegali ai tempi del lockdown. Complessivamente, però, i britannici contrari sono più numerosi di quelli favorevoli: 42 per cento contro 35 per cento.

L’iniziativa del governo britannico non è una novità assoluta

Il governo britannico spera che l’annuncio possa convincere le persone che si preparano a partire dalle coste francesi a rinunciare, ma nessun profugo e nessuna persona che lavora con i migranti ci crede davvero: chi ha vissuto l’inferno non sarà certo scoraggiato dal rischio di essere intercettato e inviato in Ruanda.

L’iniziativa non è una novità assoluta. Ricordiamo bene il triste caso del campo di detenzione di migranti creato dall’Australia in Papua Nuova Guinea, chiuso l’anno scorso. Nel 2013 Israele aveva firmato un accordo segreto con l’Uganda e il Ruanda per l’accoglienza dei rifugiati sudanesi ed eritrei di cui gli israeliani non volevano occuparsi. Diversi rapporti delle ong hanno dimostrato che in quel caso le promesse non sono mai state mantenute, e al contrario sono stati violati i diritti umani.

Davvero il piano britannico è realista? Di sicuro si scontrerà con una serie di processi legali già annunciati. Ma in ogni caso l’annuncio è soprattutto politico: Johnson ha bisogno di dimostrare che sta facendo qualcosa, soprattutto dopo il fallimento del negoziato con la Francia e l’Unione europea.

La triste ironia dell’accordo firmato il 14 aprile a Kigali è che il nonno della ministra Patel era originario del Gujarat, in India, da dove era emigrato in Uganda e poi nel Regno Unito, dove è nata Patel. Oggi la ministra si incarica di chiudere la porta del paese della brexit ai profughi, a eccezione di quelli che provengono dall’Ucraina. È un errore politico che i paesi del sud non mancheranno di interpretare nel modo corretto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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