Quasi 62 anni fa, il 30 giugno 1960, il re Baldovino, zio dell’attuale re del Belgio Filippo, si trovava a Léopoldville, l’attuale Kinshasa, per proclamare l’indipendenza del Congo. In quell’occasione il re pronunciò un discorso caratterizzato da un estremo paternalismo e da un’estrema condiscendenza, per poi sedersi soddisfatto.
Dopodiché Baldovino fu colto di sorpresa quando un uomo, il primo ministro congolese che non avrebbe dovuto parlare, si alzò e intervenne. Quell’uomo era Patrice Lumumba e il suo discorso ricordò, davanti al sovrano in uniforme bianca, i crimini del colonialismo belga. Ancora oggi quell’evento è scolpito nella memoria collettiva africana.
Quell’affronto Lumumba lo pagò con la vita pochi mesi dopo, durante una guerra civile dalle cause multiple, ma in cui il Belgio aveva la sua parte di responsabilità. Sessant’anni dopo, il re Filippo si trova nella Repubblica Democratica del Congo (come si chiama oggi) con un altro messaggio: quello di un pentimento – anche se non chiamato con il suo nome – e di un’offerta di rapporti da pari a pari. È un fatto storico.
Eredità pesantissima
C’è voluto molto tempo prima di arrivare a questo punto, perché quando sono i propri antenati ad aver commesso crimini atroci, e non semplicemente lontani predecessori politici, scusarsi diventa molto più difficile. Nel caso dell’ex Congo belga l’eredità è pesantissima. Inizialmente il paese non è stato una colonia, ma la proprietà personale del re Leopoldo, antenato di Filippo.
Quel periodo, durato 23 anni, cinque mesi e quindici giorni, fino al 1908, era stato caratterizzato da una brutalità sconvolgente anche per l’epoca. Il Congo belga era il cuore di tenebra che ispirò lo scrittore Joseph Conrad. Nel 1908 il paese diventò ufficialmente una colonia belga, fino al 1960.
Il Belgio ha compiuto i primi gesti per guardare in faccia il proprio passato
Dopo l’indipendenza, abbozzata e sabotata, il Congo, poi diventato Zaire, ha conosciuto la guerra civile, le dittature e la cleptocrazia. Ancora oggi questo immenso paese è segnato dalle guerre al confine orientale, alimentate dai vicini ruandesi e ugandesi. Negli ultimi sessant’anni i rapporti con il Belgio hanno conosciuto alcuni alti e molti bassi.
Il Belgio ha compiuto i primi gesti per guardare in faccia il proprio passato. Nel 2020 re Filippo ha avuto il coraggio di manifestare “il più profondo rammarico per le ferite” del periodo coloniale in una lettera indirizzata al presidente congolese Félix Tshisekedi. Come la Francia, anche il Belgio ha avviato un processo di restituzione delle opere d’arte africane saccheggiate nella Rdc.
Il paese europeo si appresta anche a restituire una reliquia bizzarra: un dente di Patrice Lumumba, il primo ministro assassinato. È tutto ciò che resta dell’uomo, il cui corpo è stato sciolto in una vasca d’acido. Un gendarme belga aveva voluto conservare un marcato souvenir, questo dente che incarnerà le spoglie scomparse.
Il processo belga è particolarmente doloroso, ma sono tutte le ex potenze coloniali a dover percorrere un cammino difficile per superare il passato prima di costruire un rapporto più equilibrato con le ex colonie. Chi pensava di sfuggire a questo processo si sbagliava: l’Africa del ventunesimo secolo vuole essere rispettata, ma non a prezzo di un’amnesia su un passato ancora ben presente.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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