Nel confronto tra Stati Uniti e Cina ricompare Taiwan
Nei rapporti sino-americani emergono due notizie, una buona e una cattiva. Quella buona è il contatto diretto intercorso nel fine settimana tra i ministri della difesa dei due paesi, per la prima volta da un anno. D’altronde tra due potenze non c’è niente di peggio che smettere di parlarsi.
La cattiva notizia, invece, è che tra Washington e Pechino i toni continuano a inasprirsi a proposito del destino di Taiwan. In piena guerra ucraina (in cui la Cina sostiene politicamente la Russia) questa tendenza è preoccupante. Il mondo non ha certo bisogno di due crisi contemporaneamente.
Questi sviluppi sono emersi durante il forum Shangri-La, a Singapore, che riunisce tutti gli attori di primo piano nel campo della sicurezza e della difesa nella regione Asia-Pacifico. Il ministro della difesa cinese, il generale Wei Fenghe, e il suo collega americano Lloyd Austin, anche lui generale, erano presenti all’evento.
Toni marziali
La teatralizzazione degli antagonismi al vertice Shangri-La ha come principale funzione quella di far passare messaggi precisi in una regione che assiste al crescendo di una guerra fredda in cui è chiamata a scegliere da che parte stare.
Il messaggio cinese è prima di tutto un appello rivolto ai paesi asiatici a non farsi reclutare dagli Stati Uniti. In questo senso Pechino gioca sulla sfiducia dei paesi del sud del mondo, illustrata dalla loro reticenza a condannare la Russia in Ucraina.
Finora la linea rossa tracciata da Pechino era quella di un’eventuale dichiarazione d’indipendenza di Taiwan
Ma sono i toni marziali rispetto a Taiwan l’elemento essenziale. Non c’è da stupirsi. Il generale Wei ha manifestato il fastidio crescente di Pechino davanti alle consegne di armi statunitensi a Taiwan, e i suoi accenti guerrafondai sono chiaramente una risposta alle dichiarazioni rilasciate da Joe Biden a Tokyo a maggio. In quell’occasione Biden aveva detto chiaramente che gli Stati Uniti interverrebbero militarmente al fianco di Taiwan in caso di aggressione cinese.
In seguito la Casa Bianca ha smorzato il peso di quelle dichiarazioni in nome della tradizionale “ambiguità strategica” statunitense, ma nessuno può più dubitare di cosa pensi davvero Biden.
Il generale Wei ha fatto presente agli statunitensi che “se qualcuno pensasse di separare Taiwan e la Cina, l’esercito cinese non esiterebbe a scatenare una guerra, a qualunque costo”. Resta da capire cosa intende Pechino quando parla di “separazione”.
La grande differenza tra l’Ucraina e Taiwan è che l’Ucraina è uno stato sovrano che fa parte delle Nazioni Unite, mentre Taiwan è agli occhi della Cina una provincia ribelle non riconosciuta dalla comunità internazionale.
Finora la linea rossa tracciata da Pechino era quella di un’eventuale dichiarazione d’indipendenza di Taiwan, una formalizzazione di uno stato di fatto. Gli Stati Uniti e i leader taiwanesi, anche quelli che sono definiti indipendentisti, si attengono allo statu quo che permette a Taiwan di restare libera e prosperare.
Ora però il generale Wei ha lasciato aleggiare il dubbio a proposito di questa fantomatica “separazione”, perché la Cina teme che gli occidentali, a piccoli passi, vogliano rafforzare Taiwan pur non infrangendo il tabù della dichiarazione d’indipendenza.
A Singapore la sicurezza in Asia è apparsa un po’ più fragile, anche se siamo ancora lontani dalla situazione di guerra che sta vivendo l’Europa.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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