Il generale Sergej Surovikin è il nuovo comandante dell’esercito d’invasione russo in Ucraina, appena nominato da Vladimir Putin. Tra le sue imprese militari c’è la campagna in Siria, dove la Russia ha permesso a Bashar al Assad di conservare il potere perseguendo una politica del terrore nelle città che ricorda i bombardamenti del 10 ottobre in Ucraina.

La Siria è il punto di passaggio di molte carriere militari russe: anche il predecessore del generale Surovikin aveva prestato servizio nel paese mediorientale, in cui il mondo ha assistito, impotente o passivo, alla distruzione di molte città.

Alla Russia di Putin la Siria è servita come trampolino di lancio per la riconquista dello status di potenza capace di cambiare il corso della storia anche lontano dalle sue basi. Il presidente russo ha agito in modo brutale. La fase del conflitto ucraino aperta il 10 ottobre evoca direttamente questo metodo.

Potere di veto
In un libro collettivo minuziosamente documentato, appena pubblicato in Francia e intitolato Syrie, le pays brûlé. Le livre noir des Assad (1970-2021) (Siria, il paese bruciato. Il libro nero degli Assad. 1970-2021), gli autori sottolineano che “tra la fine del settembre 2015 e la fine del dicembre 2019 l’aviazione e la marina russe hanno effettuato decine di migliaia di attacchi”, colpendo soprattuto le infrastrutture mediche e gli assi viari. In questo modo le forze del regime, le milizie sciite filoiraniane e i mercenari russi della compagnia Wagner hanno potuto conquistare i quartieri orientali della città di Aleppo ma anche l’area delle oasi (ghuta) di Damasco, dove sono state usate armi chimiche. Il bilancio umano di quelle operazioni è stato disastroso.

La prima lezione da trarre dal precedente siriano è che l’esercito russo è disposto a ignorare le convenzioni di Ginevra sul diritto bellico e le proteste internazionali laddove non sono accompagnate da azioni concrete.

Il Cremlino, ieri come oggi, ragiona in termini di rapporti di forza

Durante gli anni del conflitto in Siria la Russia ha usato tredici volte il suo diritto di veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu per bloccare qualsiasi condanna delle proprie azioni. Mosca ha seguito la stessa strategia la settimana scorsa ponendo il veto sulla condanna da parte del Consiglio di sicurezza dell’annessione dei territori conquistati dai russi in Ucraina.

La seconda lezione è che il Cremlino, ieri come oggi, ragiona in termini di rapporti di forza. In Siria la Russia è intervenuta in forze solo quando ha capito che l’amministrazione Obama non aveva intenzione di lasciarsi coinvolgere nel conflitto. Ricordiamo ancora l’episodio delle “linee rosse” di Obama sull’uso di armi chimiche e l’immobilità degli statunitensi quando queste armi sono state effettivamente impiegate. In Ucraina Putin scommetteva sulla stessa passività, ma evidentemente si è sbagliato.

In Ucraina le circostanze sono diverse, a cominciare dal fatto che siamo davanti a una guerra russa e non a una guerra in cui Mosca fornisce assistenza. Ma ciò che è accaduto ieri segue la stessa logica: terrorizzare le popolazioni, svuotare le città, distruggere le infrastrutture elettriche, gli ospedali e le scuole per ottenere la vittoria a qualsiasi costo.

La grande differenza è che l’Ucraina può contare sul sostegno convinto degli occidentali, quello che in Siria era mancato fino all’entrata in scena dei gruppi jihadisti. Il mondo è rimasto indifferente alla catastrofe siriana nonostante qualcuno vi vedesse una nuova guerra civile spagnola, che negli anni trenta fu una prova generale della seconda guerra mondiale. In Ucraina, invece, il sostegno degli occidentali è chiaro. Questo non ha impedito i bombardamenti indiscriminati, ma i rapporti di forza non sono più gli stessi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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