In un mondo segnato dalle guerre e dall’ascesa degli autocrati, il 1 gennaio ci porta una buona notizia: l’investitura di Lula come presidente del Brasile, in un’alternanza democratica tutt’altro che scontata.
Il 31 dicembre, a Brasilia, centinaia di migliaia di persone hanno acclamato l’ex (e ormai nuovo) presidente, ma soprattutto la fine dell’era di Bolsonaro. In effetti Jair Bolsonaro è stato un presidente catastrofico: per l’Amazzonia, di cui ha consentito la deforestazione, ma anche nella gestione della pandemia o della coesione della società brasiliana.
Con grande sollievo di chi temeva un colpo di stato dell’ultimo minuto, Bolsonaro è partito per la Florida due giorni prima del passaggio di consegne. Per i suoi sostenitori più intransigenti si è trattato di un tradimento, o peggio ancora di una fuga. Oggi restano alcune frange che continuano a rifiutarsi di riconoscere il verdetto delle urne, ma l’assenza di Bolsonaro le indebolisce.
Un paese spaccato
Lula ha dichiarato che la vittoria elettorale è stata la parte più facile della sua missione, sottolineando che lo attende un compito molto difficile. Il Brasile del 2023, infatti, non è più quello del 2003, anno in cui Lula è stato eletto la prima volta.
L’economia è in difficoltà e il paese è spaccato dopo quattro anni di Bolsonaro: Lula è stato eletto con appena il 50,9 per cento dei voti, e dovrà necessariamente tenerne conto.
La base elettorale di Lula vorrebbe che facesse gli stessi miracoli del 2003
Inoltre il nuovo presidente dovrà gestire le forze eterogenee che l’hanno portato al potere. L’ex sindacalista non ha impostato una campagna elettorale di sinistra come era accaduto vent’anni fa, ma al contrario si è presentato alla guida di un ampio fronte antiBolsonaro che comprende anche partiti borghesi. Lo stesso equilibrio si ritrova nella composizione del governo.
La base elettorale di Lula vorrebbe che facesse gli stessi miracoli del 2003, quando era riuscito a ridurre enormemente la povertà alimentando allo stesso tempo la crescita economica.
Lula ha 77 anni. Dodici anni dopo aver lasciato il potere e dopo aver passato 580 giorni in prigione, oggi si imbarca in un’avventura politica estremamente complessa.
Il mondo nutre grandi aspettative. Bolsonaro aveva provocato la disperazione dell’intero pianeta a causa della deforestazione dell’Amazzonia e dell’impatto della sua politica sul clima. Su questo tema Lula e la sua ministra dell’ambiente Marina Silva hanno già un’aura salvifica.
Le attese sono talmente grandi che Lula pare inevitabilmente destinato a deludere. Non è detto che avrà i mezzi per realizzare le sue ambizioni in materia di giustizia sociale, le risorse per tenere insieme le spinte contrastanti o la stessa capacità di un tempo di districarsi nel campo minato della diplomazia mondiale.
Di sicuro il presidente è atteso al varco sulla guerra in Ucraina, perché il Brasile è la lettera B dei Brics, acronimo che indica un gruppo di paesi di cui fanno parte anche Russia, India, Cina e Sudafrica. Durante la campagna elettorale Lula non si è soffermato molto sull’argomento, e di sicuro dovrà superare l’antiamericanismo classico del continente latinoamericano per posizionare il Brasile in un conflitto che ha ripercussioni globali. Non sarà facile.
Per il momento l’aspetto fondamentale evidenziato dall’alternanza democratica a Brasilia è che la deriva autocratica non è né una fatalità né un fenomeno irreversibile. Basta questo per dire “grazie Lula!”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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