Probabilmente conoscete la famosa battuta con cui Stalin domandò “quante divisioni” avesse il papa. Oggi papa Francesco non ha alcun esercito, ma può contare sul peso della sua parola, che spesso usa con saggezza quando nessun altro osa farsi avanti.
Francesco ha scelto di rilasciare alcune dichiarazioni forti in Repubblica Democratica del Congo. L’ex Congo belga, dove oggi vivono 110 milioni di persone, è stato saccheggiato e martoriato prima e dopo l’indipendenza del 1960. Il paese può contare su ricchezze minerarie immense, ma è abitato da persone povere e vittime di guerre devastanti. Questa terra è indispensabile per l’ecosistema planetario, eppure per troppo tempo è stata ignorata dal resto del mondo.
È doveroso ascoltare le parole di questo papa di 86 anni, che si sposta in sedia a rotelle e ha voluto esprimere un invito condiviso da un miliardo di africani: “Togliete le mani dalla Repubblica Democratica del Congo! Smettete di soffocare l’Africa! Non è una miniera da sfruttare né una terra da saccheggiare!”.
Ambizione a lungo termine
Queste dichiarazioni tuonanti, pronunciate poco dopo l’arrivo a Kinshasa, purtroppo restano solo parole, perché il papa non ha il potere di cambiare le cose. Ma possiamo scommettere che le frasi di Francesco risuoneranno a lungo nel continente africano.
Nelle affermazioni di Bergoglio c’è un messaggio legato alle circostanze, ma anche un’ambizione a lungo termine. Le circostanze sono date da ciò che sta vivendo la Repubblica Democratica del Congo e che Francesco ha potuto constatare il 2 febbraio ricevendo alcune vittime delle violenze che scuotono la zona orientale del paese, dove si trovano i minerali più ambiti. Il papa ha ascoltato le loro testimonianze atroci sugli omicidi, le mutilazioni e gli stupri.
Uno sforzo internazionale coordinato è indispensabile
Il pontefice si è detto “sconvolto” e ha sottolineato che “non ci sono parole” e che bisogna solo “piangere” in silenzio.
Come si può mettere fine al meccanismo della violenza nell’est del paese, che va avanti da decenni e ha provocato milioni di morti? Perfino la presenza del contingente più sostanzioso dei caschi blu dell’Onu non ha portato un risultato soddisfacente.
Il ruolo del Ruanda è stato ampiamente documentato: il paese limitrofo è accusato di alimentare le violenze, da Kinshasa e sempre più spesso anche dalla comunità internazionale. Ma il Ruanda non è l’unico attore di rilievo. Uno sforzo internazionale coordinato è indispensabile.
L’ambizione di Francesco è chiaramente quella di radicare la presenza della chiesa cattolica nel contiene africano, dove si gioca una parte rilevante del suo futuro. La Repubblica Democratica del Congo rappresenta un caso esemplare: nel paese vivono quasi 40 milioni di cattolici e il papa riesce a mobilitare più di un milione di persone per ogni evento.
Facendosi portavoce dei popoli africani contro le mire delle potenze (africane o extra-africane), il papa vuole schierare la chiesa dalla parte della gente. Il suo comportamento è palesemente più audace di quello dei leader religiosi del continente, spesso molto più conservatori rispetto al pontefice.
Durante il suo viaggio, quanto meno, papa Francesco ha messo in evidenza davanti al mondo una delle contraddizioni della nostra epoca: i minerali di cui la transizione ecologica ha assoluto bisogno vengono in gran parte dalla Repubblica Democratica del Congo, dove però la loro estrazione è fonte di conflitti, sfruttamento e avidità. Forse il mondo si deciderà ad ascoltare il papa, prima che questa contraddizione diventi insopportabile.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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