Che rivincita! Il 18 maggio il presidente siriano Bashar al Assad è arrivato a Jedda, in Arabia Saudita, per partecipare a un vertice della Lega araba. È la prima volta da oltre un decennio, dopo l’esclusione di Damasco dall’organizzazione regionale. La Siria è stata reintegrata il 7 maggio, e la presenza di Assad a Jedda segna il suo grande ritorno.
La Siria era stata esclusa dalla Lega araba quando il regime di Assad aveva represso la rivolta inizialmente pacifica della popolazione, esplosa nel 2011 sulla scia delle proteste in Tunisia ed Egitto. Nel corso del decennio trascorso da allora, Assad ha massacrato, torturato, usato armi chimiche e assediato città. Eppure è tuttora al suo posto, grazie all’appoggio decisivo della Russia e dell’Iran. Anche se milioni di siriani sono ancora rifugiati all’estero e il paese resta diviso e sfugge in parte al controllo del governo, Assad è sopravvissuto. Già questo è un successo insperato.
Il reintegro all’interno della Lega araba segna dunque un fallimento per chi sperava in una soluzione politica in Siria e nella giustizia per i crimini commessi. Niente di tutto ciò accadrà. L’impunità trionfa.
Rifugiati sotto tiro
Il ritorno di Assad è il risultato dell’imprevista convergenza tra un campo conservatore, incarnato dagli Emirati Arabi Uniti e deciso a voltare pagina dagli anni della primavera araba, e alcuni vecchi alleati della Siria e della Russia, come l’Algeria.
Ma tra le cause ci sono anche due vicende che animano la regione: la prima riguarda la presenza di milioni di profughi siriani nei paesi vicini come la Turchia, il Libano e la Giordania.
In Turchia, paese che non fa parte della Lega araba, una parte della popolazione vorrebbe veder partire i rifugiati, in un momento in cui il paese attraversa un periodo difficile segnato dall’inflazione galoppante e dalle conseguenze del sisma. Perfino il candidato dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu ne ha fatto un tema centrale della sua campagna elettorale. Anche in Libano, paese che vive una catastrofe economica e sociale, la presenza di due milioni di siriani è diventata un problema politico.
Il reintegro della Siria rischia di rivelarsi una farsa o quanto meno una fonte di tensioni future
In occasione del reintegro nella Lega araba, Damasco si è impegnata a creare le condizioni del ritorno dei profughi, ma difficilmente milioni di siriani decideranno di tornare a vivere nel sistema che li ha costretti a partire, tra l’altro senza una soluzione politica e senza giustizia.
La seconda vicenda determinante è incentrata sulla droga. La Siria è diventata il primo produttore ed esportatore del captagon, un’anfetamina che crea dipendenza e fa strage in Medio Oriente e non solo. L’Arabia Saudita e la Giordania sono particolarmente colpite da questo flagello e fanno pressione su Damasco affinché contribuisca a trovare una soluzione.
Anche in questo caso la Siria si è impegnata, in cambio di fondi, a combattere il traffico del captagon. Il problema è che la droga è diventata un’importante fonte di introiti per il paese e soprattutto per il regime: i sospetti si addensano in modo particolare sul fratello di Assad, Maher, a capo della quarta divisione blindata.
Il reintegro della Siria, dunque, rischia seriamente di rivelarsi una farsa o quanto meno una fonte di tensioni future. Per i siriani, soprattutto per quelli che vivono all’estero, la sopravvivenza del regime che li ha spinti a fuggire è una pillola molto amara.
Anche gli occidentali sono alle prese con un dilemma, emarginati da questa ricomposizione mediorientale e non più in grado di influire su una tragedia che per troppo tempo hanno ignorato. Oggi il vincitore è chiaramente Assad.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Medio Oriente. Ci si iscrive qui.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it